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Ha ragione Mattarella: bisogna investire sui dati per rilanciare l’Italia - Intervento di Guido Scorza

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Ha ragione Mattarella: bisogna investire sui dati per rilanciare l’Italia
Il Paese è letteralmente adagiato su una miniera di inestimabile valore, capace di consentirci di ridisegnare e riprogettare completamente il nostro futuro e proiettare l’Italia dove merita nel firmamento dei grandi della comunità internazionale. Ecco una ricetta per riuscirci
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(HuffPost, 2 gennaio 2023)

“La quantità e la qualità dei dati, la loro velocità possono essere elementi posti al servizio della crescita delle persone e delle comunità. Possono consentire di superare arretratezze e divari, semplificare la vita dei cittadini e modernizzare la nostra società. Occorre compiere scelte adeguate, promuovendo una cultura digitale che garantisca le libertà dei cittadini". Sono le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, agli italiani in occasione del suo tradizionale messaggio di fine anno.

Un’indicazione carica di significato che non possiamo e non dobbiamo lasciarci scivolare addosso. Il Paese è letteralmente adagiato su una miniera di inestimabile valore, capace di consentirci di ridisegnare e riprogettare completamente il nostro futuro e proiettare l’Italia dove merita nel firmamento dei grandi della comunità internazionale, una miniera ricca di dati dai quali estrarre informazioni e quindi conoscenza. Ed è lo stesso Presidente Mattarella a indicare le diverse linee di azione lungo le quali questo patrimonio di conoscenza può essere sfruttato: “superare arretratezze e divari, semplificare la vita dei cittadini e modernizzare la nostra società”.

I dati servono a guidare il governo del Paese in modo tale da rendere la nostra democrazia più forte abbattendo le disuguaglianze che ancora la indeboliscono, i dati servono a rendere la nostra amministrazione più efficiente e, quindi, a semplificare la vita ai cittadini e i dati servono a portare la nostra società in un presente che strizza l’occhio a un futuro che è già qui, tirandola via dalla atavica arretratezza nella quale decenni di governo dell’innovazione miope l’hanno relegata. I dati, insomma, come la leva con la quale Archimede si dichiarava pronto a sollevare il mondo e noi, con ambizioni non da meno, potremmo risollevare le sorti del nostro Paese.

Ma le parole del Presidente della Repubblica sui dati non sono parole orientate solo al perseguimento di pure nobilissimi obiettivi. Mattarella non suggerisce di utilizzare i dati, in un modo qualunque, come il mezzo per raggiungere taluni fini pure indiscutibilmente nobili. Il monito del Presidente della Repubblica è più puntuale: investiamo sui dati, mettendoli al servizio della crescita delle persone e della collettività. Non già, semplicemente, i dati al centro, come, spesso, si dice con formula, per la verità, vuota ma la persona al centro e i dati al suo servizio. Nessuna fuga in avanti, quindi: “occorre compiere scelte adeguate, promuovendo una cultura digitale che garantisca le libertà dei cittadini”, chiosa Sergio Mattarella.

Il fine ultimo sono le libertà dei cittadini, i dati sono “solo” mezzi, per quanto straordinariamente preziosi, da impiegare per riconoscerle e garantirle. Un solo appunto alle parole del Presidente: il verbo giusto del suo monito, forse, dovrebbe essere quello del dovere e non più, semplicemente, quello del potere. È troppo tardi, ormai, per limitarsi a auspicare che “i dati” possano “essere elementi posti al servizio della crescita delle persone e delle comunità”. Nel 2023, se vogliamo dare all’Italia una chance di essere la straordinaria Nazione che merita di essere nella dimensione culturale, sociale, economica e democratica, i dati devono essere posti senza ulteriore ritardo al servizio della crescita delle persone. Ma cosa fare perché questo accada? Ciascuno ha, certamente, la propria ricetta. Ecco la mia.

Uno. Mettere nell’angolo le centinaia di burocratosauri che ancora ricoprono ruoli di vertice nell’amministrazione italiana e nei Palazzi della politica che in taluni casi non hanno ancora capito, per insuperabili limiti culturali, il vero valore dei dati e in altri casi – più numerosi –, che lo hanno capito perfettamente e proprio per questo sono terrorizzati che governare la cosa pubblica con un approccio guidato dai dati – come propone il Presidente Mattarella – ridimensionerebbe il loro potere perché limiterebbe la discrezionalità delle proprie scelte, impedendo loro di crearsi clientele e compagni di merende giacché talune decisioni sarebbero vincolate al perseguimento di un bene comune scientificamente indicato dai dati in maniera obiettiva e trasparente. Lor signori vanno semplicemente accompagnati alla porta perché, da decenni, zavorrano la nostra democrazia.

Due. Intervenire sul processo legislativo a ogni livello – centrale e periferico da parte del Governo e del Parlamento – prevedendo che nessuna disposizione di legge, neppure d’urgenza, possa essere approvata se non preceduta da una valutazione di impatto basata sui dati che contenga una rappresentazione puntuale, per quanto possibile allo stato della tecnica, degli effetti prodotti dall’adozione della misura e una verifica periodica, egualmente basata sui dati, circa il suo impatto. Non è tollerabile oltre che in una stagione della vita nel mondo nella quale big data, algoritmi e intelligenza artificiale consentono ormai di prevedere il futuro che ci attende in ogni sua dimensione, Governo e Parlamento, Regioni e Comuni, scrivano leggi, decreti e regolamenti, sulla base di opinioni, sensazioni, percezioni e istinti e che ci si ritrovi sistematicamente a interrogarsi sulla bontà o meno dell’impatto di questa o quella misura. La politica è politica e la scienza – in questo caso quella dei dati – è scienza ma la prima non può più ignorare le indicazioni della seconda.

Tre. Investire nell’educazione al valore dei dati a tutti i livelli. Non solo formando data scientist dei quali pure, evidentemente, abbiamo un enorme bisogno per governare la moderna società dei dati e porci della condizione di estrarre conoscenza dai dati ma anche educando le persone comuni a leggere i dati in maniera obiettiva ma con spirito critico, a conoscerne il valore nella dimensione economica e in quella democratica, a riconoscerne il significato anche politico così da sviluppare forme diffuso di controllo, basato sui dati, del governo della cosa pubblica. Più saranno i cittadini a chiedere conto ai nostri amministratori delle loro scelte, chiedendo loro di motivarle e giustificarle sulla base dei dati, prima riusciremo a cambiare in meglio la nostra società.

Quattro. Capire una volta per tutte che i dati dei quali è in possesso la pubblica amministrazione sono un bene comune e non appartengono a questa o quella singola amministrazione ma rappresentano un patrimonio comune della Nazione da porre al servizio delle persone e delle imprese nell’ovvio rispetto delle regole, incluse quelle sulla protezione dei dati personali che, tuttavia, normalmente, non ne impediscono lo sfruttamento ma lo vincolano, orientano e guidano in modo tale da garantire diritti e libertà: dicono di no, insomma, al principio machiavellico secondo il quale il fine giustifica i mezzi ma indicano strade ponderate e bilanciate per il perseguimento dello stesso fine.

Scheda

Doc-Web
9843472
Data
02/01/23

Tipologie

Interviste e interventi