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Ordinanza ingiunzione nei confronti del Ministero dell’Interno - 24 febbraio 2022 [9766469]

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[doc. web n. 9766469]

Ordinanza ingiunzione nei confronti del Ministero dell’Interno - 24 febbraio 2022

Registro dei provvedimenti
n. 62 del 24 febbraio 2022

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stanzione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, l’avv. Guido Scorza, componente e il dott. Claudio Filippi, vice segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (Regolamento generale sulla protezione dei dati, di seguito, "Regolamento");

VISTO il Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali (di seguito “Codice”);

VISTO il Decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, entrato in vigore l’8 giugno 2018, recante l’attuazione della Direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio;

VISTO il Decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 2018, n. 15 recante il “Regolamento a norma dell'articolo 57 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante l'individuazione delle modalità di attuazione dei principi del Codice in materia di protezione dei dati personali relativamente al trattamento dei dati effettuato, per le finalità di polizia, da organi, uffici e comandi di polizia”;

VISTO l’art. 49 del d.lgs. n. 51/2018 secondo cui “l’articolo 57 del Codice è abrogato decorso un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. I decreti adottati in attuazione degli articoli 53 e 57 del Codice continuano ad applicarsi fino all’adozione di diversa disciplina ai sensi degli articoli 5, comma 2, e 9, comma 5” (commi 2 e 3 dell’art. 49 cit.);

VISTO il Regolamento del Garante n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante per la protezione dei dati personali, approvato con deliberazione del n. 98 del 4/4/2019, pubblicato in G.U. n. 106 dell’8/5/2019 e in www.gpdp.it, doc. web n. 9107633 (di seguito “Regolamento del Garante n. 1/2019”);

Vista la documentazione in atti;

Viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del Regolamento del Garante n. 1/2000 sull’organizzazione e il funzionamento dell’ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, doc. web n. 1098801;

Relatore la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni;

PREMESSO

1. La vicenda.

Il Sig. XX presentava reclamo al Garante, lamentando un illecito trattamento di dati da parte della Questura di XX per l’avvenuta diffusione su diversi organi di stampa di foto che lo ritraevano, “messe indebitamente a disposizione dei giornalisti della Squadra Mobile della Questura di XX”. Nello specifico, il reclamante segnalava che: “1) In data 31.01.2020 è stato pubblicato un articolo sulla testata giornalistica on-line “XX” a firma di Nicola Cendron, in cui si dava conto dell’arresto del signor XX avvenuto in data 18 agosto 2019. (…) A corredo del suddetto articolo, (…), è stato pubblicato un fotogramma delle telecamere di videosorveglianza, da cui non è possibile risalire alla persona del XX, e la foto segnaletica del medesimo, in cui lo stesso è pienamente identificabile; 2) In data 31 gennaio 2020 il notiziario di Antenna 3, A3 News Treviso, mandava in onda un servizio (…) in cui si dava atto, menzionando le generalità dell’interessato, della notizia dell’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di XX. Come si vede chiaramente dal servizio, la notizia è stata diffusa dal Dirigente della Squadra Mobile di XX XX. Nel servizio realizzato da Antenna 3 si vedono distintamente immagini relative al fascicolo delle indagini e, nello specifico, fotogrammi relativi alle telecamere di videosorveglianza e foto segnaletiche del signor XX”; 3) In data 1° febbraio 2020 il quotidiano “XX”, edizione di Treviso, pubblicava articolo a firma di Alberto Beltrame (…) in cui si dava atto della notifica dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico del signor XX (…). Anche questo articolo è corredato da una serie di fotogrammi delle telecamere di videosorveglianza, da cui non è possibile riconoscere distintamente il XX, e da una foto segnaletica del medesimo, in cui XX è ritratto in posizione frontale e in cui è pienamente riconoscibile.”. Al reclamo venivano allegate le copie degli articoli pubblicati dalla testata giornalistica on-line “XX” (di cui al suddetto punto 1) e dal quotidiano “XX” (di cui al suddetto punto 3).

A seguito dell’esame di quanto lamentato, il Garante per la protezione dei dati personali (“Garante”) ha avviato un’istruttoria nei confronti del Ministero dell’Interno (“Ministero”), al quale ha inviato una richiesta di informazioni, rivolta anche alla Questura di XX, in ordine alle modalità e finalità della diffusione delle suddette immagini, agli atti con i quali è stata (eventualmente) assunta la decisione di diffondere tali immagini, nonché in ordine alle misure tecnico-organizzative adottate al fine di garantire il rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali, con particolare riferimento a quanto sancito dall’articolo 14 del D.P.R. 15/2018 (nota prot. n. 39581 del 22 ottobre 2020).

Nel corso dell’istruttoria avviata nei confronti delle testate giornalistiche, XX con nota del 14 ottobre 2020, ha informato di aver provveduto ad anonimizzare l’articolo pubblicato su “XX” di cui al punto 1 del reclamo, XX ha riscontrato con nota del 21 ottobre 2020, informando di aver provveduto a rimuovere dagli archivi la foto del reclamante e XX, con nota del 26 ottobre 2020, ha allegato una copia del servizio televisivo contestato di cui al punto 2 del reclamo. Nell’ambito della medesima istruttoria, il reclamante ha replicato a quanto sopra riscontrato, con nota del 5 novembre 2020, alla quale allegava copia dell’annotazione riassuntiva della Questura di XX relativa all’attività di indagine complessivamente espletata in merito all’identificazione dell’autore degli eventi predatori seriali, consumati a danno di donne anziane in zona Treviso, datata 18 settembre 2019.

Il Ministero ha fornito riscontro alla suddetta richiesta di informazioni del 22 ottobre 2020, con nota prot. n. 40688 del 7 novembre 2020, a mezzo della quale, nel premettere che “la diffusione di notizie inerenti l’attività di polizia giudiziaria avviene previo consenso dell’Autorità giudiziaria”, ha rappresentato nel merito: - “per quanto attiene il punto 1) delle doglianze del reclamante, diversamente da quanto rappresentato, nell’articolo di Nicola Cendron pubblicato su “XX” in data 31.01.2020, non compare alcuna foto dell’arrestato, del quale, oltretutto, non viene neppure indicato il nome, bensì le sole iniziali XX”; - “con riferimento al servizio andato in onda sul canale televisivo Antenna 3 il 31.01.2020 (punto 2 delle doglianze), (…) le immagini trasmesse dal TG Treviso non sono relative al fascicolo dell’indagine, ma fanno parte della scheda che era stata appositamente predisposta, per la consultazione, dalla Squadra Mobile per la conferenza stampa. Si evidenzia, inoltre, che nel corso dell’intervista non è stato fatto alcun riferimento alle generalità dell’arrestato”; - “in merito al punto 3) delle doglianze, riguardante l’articolo pubblicato sul quotidiano “XX” in data 01.02.2020, firmato da Alberto Beltrame, si fa presente che la foto di XX ivi riportata non è quella relativa al suo fotosegnalamento, come emerge dal raffronto della medesima con quella contenuta nella banca dati SSA.”, allegando una stampa dell’articolo pubblicato su “XX” ed una copia dell’articolo pubblicato su XX. Il Ministero ha segnalato, infine, che la diffusione dell’effige del Sig. XX alla stampa rispondeva ad un evidente interesse pubblico, trattandosi di rapinatore seriale di donne anziane che agiva secondo specifiche metodologie, oltre che a finalità di giustizia, al fine di verificare se altre persone fossero state in grado di riconoscerlo come autore di reati predatori commessi in loro danno.

Successivamente l’Autorità ha inviato alla Questura di XX, nonché al Ministero, la suddetta nota di replica del reclamante, trasmessa nel corso del procedimento relativo anche ad altri titolari, chiedendo eventuali elementi di valutazione su quanto in essa rappresentato (nota prot. n. 8787 del 12 febbraio 2021).

Con nota di riscontro prot. n. 10967 del 24 febbraio 2021, la Questura di XX ha precisato che non sono emersi ulteriori elementi di valutazione, che la vicenda in esame ha riguardato “attività di polizia giudiziaria e che la conferenza stampa indicata nel reclamo è stata tenuta con l’assenso dell’Autorità giudiziaria per le finalità indicate nella nota di questo Ufficio del 7 novembre 2020”.

Con nota prot. n. 12698 del 5 marzo 2021, il Garante, sulla base degli elementi acquisiti nell’ambito dell’istruttoria avviata, e delle successive valutazioni effettuate, ha notificato al Ministero, in qualità di titolare del trattamento, ai sensi degli articolo 42, comma 4, del d.lgs. n. 51/2018, 166, comma 5, del Codice e 12 del Reg. del Garante n. 1/2019, l’avvio del procedimento per l’adozione dei provvedimenti di cui agli articoli 37, comma 3, e 42 del d.lgs. n. 51/2018, invitando il predetto titolare a produrre al Garante scritti difensivi o documenti ovvero a chiedere di essere sentito dall’Autorità (art. 166, commi 6 e 7, del Codice; art. 18, comma 1, dalla legge n. 689 del 24/11/1981; art. 13, comma 3, Reg. del Garante n. 1/2019).

In particolare, l’Ufficio ha rilevato che il Ministero ha posto in essere un trattamento dei dati personali dell’interessato, nelle modalità sopra descritte, in violazione dell’articolo 3, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 51/2018, in combinato disposto con gli articoli 5 del d.lgs. n. 51/2018 e 14 del D.P.R. n. 15/2018, violazione che rendeva applicabile la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 42 del d.lgs. n. 51/2018. Nella medesima comunicazione di avvio del procedimento, si è rappresentato al Ministero che, nel corso dell’istruttoria avviata nei confronti delle testate giornalistiche, “XX ha riscontrato con nota del 14 ottobre 2020, informando di aver provveduto ad anonimizzare l’articolo pubblicato su “XX” (di cui al punto 1 del reclamo)” e che “Diversamente da quanto rappresentato da codesto Ministero, peraltro, risulta accertato che l’immagine e le generalità del reclamante, pubblicate sul sito “XX” il 31 gennaio 2020, sono state eliminate solo nell’ottobre 2020 (v. nota di XX del 14 ottobre 2020 cit.) e che nel servizio televisivo Antenna 3 del 31.01.2020 vengono riportate chiaramente le generalità dell’interessato (v. nota di XX del 26 ottobre 2020 cit.)” (pag. 6 della nota del 5 marzo 2021 cit.).

A seguito della nota contenente le contestazioni ai sensi dell’articolo 166 del Codice, la Questura di XX ha fatto pervenire uno scritto difensivo, con nota prot. n. 13155 del 1° aprile 2021, nella quale si legge: “si evidenzia nuovamente che, a differenza da quanto rappresentato dal reclamante, nell’articolo di Nicola Cendron pubblicato su “XX” in data 31.01.2020, non è apparsa alcuna foto dell’arrestato, del quale, oltretutto, non è stato neppure indicato il nome, bensì le sole iniziali XX”. Si è rappresentato, inoltre, che “la scheda riepilogativa utilizzata, a fini consultivi, dal Dirigente della Squadra Mobile non può essere assimilata alla completa illustrazione contenuta nell’annotazione riassuntiva dell’attività d’indagine fornita dal reclamante, trattandosi di un atto di polizia giudiziaria (relativo alla ricostruzione, anche ai fini identificativi, del presunto ladro seriale) di cui è in possesso il difensore dell’odierno reclamante per altre finalità, connesse alla difesa. Tale atto non era e non è mai stato divulgato dal predetto Dirigente e il suo riferimento, pertanto, appare come fuorviante. Infine, ferma restando la sussistenza dell’intesa con l’Autorità giudiziaria per la conferenza stampa de qua, la diffusione dell’effige del Sig. XX, ad avviso di questo Ufficio, risulta avvenuta in conformità  del d.lgs. n. 51/2018, in particolare, dell’art. 5, comma 1, che sancisce la liceità del trattamento dei dati personali se necessario per l’esecuzione di un compito di un’autorità competente per le finalità di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali. Le informazioni date in sede di conferenza stampa dal Dirigente della Squadra Mobile, infatti, rispondevano ad un evidente interesse pubblico, trattandosi di rapinatore seriale di donne anziane che agiva secondo specifiche metodologie, oltre che a finalità di polizia e di giustizia, al fine di verificare se altre persone fossero state in grado di riconoscerlo come autore di reati predatori commessi a loro danno, in conformità alla normativa vigente.”.

2. Esito dell’attività istruttoria e disciplina applicabile.

Dall’esame degli articoli giornalistici e del servizio televisivo citati, nonché dall’esame di quanto dichiarato nel corso di procedimento dal titolare, risulta accertato che il Ministero ha effettuato il trattamento dei dati del reclamante - consistente nella divulgazione dell’immagine in primo piano  e delle generalità del XX, che era già in carcere da agosto 2019 - nel corso di una conferenza stampa in cui si dava notizia dell’ulteriore provvedimento restrittivo, nei confronti del medesimo reclamante, a seguito delle ulteriori indagini concernenti altri eventi predatori.

Successivamente a tale conferenza stampa, diversamente da quanto rappresentato dal titolare del trattamento nel corso di tutto il procedimento (secondo cui “nell’articolo di Nicola Cendon pubblicato su “XX” in data 31.01.2020, non compare alcuna foto dell’arrestato, del quale, oltretutto, non viene neppure indicato il nome, bensì le sole iniziali XX”, (da ultimo, con scritto difensivo del 1° aprile 2021), risulta accertato che l’immagine e le generalità del reclamante, sono state pubblicate sul sito “XX” dal 31 gennaio 2020 al 14 ottobre 2020 (v. nota di XX del 14 ottobre 2020 cit.), oltre che su XX, e che nel servizio televisivo Antenna 3 del 31.01.2020 venivano riportate chiaramente le generalità dell’interessato (v. nota di XX del 26 ottobre 2020 cit.). Nella comunicazione di avvio del procedimento (cfr. all. 10), peraltro, il Ministero è stato informato che l’articolo pubblicato su “XX” era stato oggetto di successiva anonimizzazione da parte della società editrice. Ciò nonostante il Ministero, che non ha presentato alcuna istanza di accesso agli atti del procedimento, ha ribadito che l’articolo suddetto non conteneva né la foto né le generalità dell’interessato.

Risulta accertato, inoltre, che le immagini trasmesse dal servizio televisivo contestato “fanno parte della scheda che era stata appositamente predisposta, per la consultazione, dalla Squadra Mobile per la conferenza stampa” (v. nota del Ministero del 7 novembre 2020 cit.) e che alcune immagini riportate nel servizio televisivo erano presenti “anche” nell’annotazione riassuntiva della Questura di XX del 18 settembre 2019, a mezzo della quale veniva chiesta idonea misura cautelare nei confronti del XX (v. nota del reclamante del 5 novembre 2020 cit., inviata al Ministero con nota del Garante del 12 febbraio 2021). Seppure, quindi, nel corso dell’intervista - riportata nel servizio andato in onda sul canale televisivo Antenna 3 il 31.01.2020 - non si sia fatto cenno alcuno alle generalità dell’arrestato (come ha rappresentato il Ministero nel corso del procedimento, da ultimo con atto difensivo del 1° aprile 2021), è accertato che le diverse informazioni presenti nel servizio televisivo riferite all’interessato, tra cui le generalità e le immagini in questione, sono state acquisite dalla scheda appositamente predisposta dalla Questura interessata per la conferenza stampa suddetta (cfr. scritto difensivo del 1° aprile 2021).

Risulta accertato, infine, che al minuto 1.15 del servizio suddetto appaiono due foto del XX in posizione frontale, di cui una a figura intera e con le braccia allargate a ridosso di un muro, inserite in un documento nel quale, a corredo delle medesime immagini, si legge: “Si evidenzia che una delle vittime che lo ha riconosciuto è proprio la protagonista, suo malgrado, di quello che è sicuramente l’episodio più fastidioso e più grave in termini di spregiudicatezza criminale del XX”.

Ciò premesso, al trattamento in questione si ritiene, pertanto, applicabile: la Direttiva (UE) 2016/680, che nel preambolo richiama la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cfr. cons. 1 e 46 Direttiva); il Decreto legislativo n. 51 del 18 maggio 2018, recante l’attuazione della Direttiva UE 2016/680 relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati; il Decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 2018, n. 15 che individua le modalità di attuazione dei principi del Codice relativamente al trattamento dei dati effettuato, per finalità di polizia, da organi, uffici e comandi di polizia (tuttora vigente ai sensi dell’art. 49 d.lgs. n. 51/2018).

Il d.lgs. n. 51/2018 stabilisce, in particolare, che i dati personali sono “trattati in modo lecito e corretto” (art. 3, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 51/2018) e che il trattamento è lecito se è necessario per l’esecuzione di un compito di un’autorità competente per le finalità di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali (art. 5, comma 1, d.lgs. n. 51/2018). I dati personali, inoltre, sono “b) raccolti per finalità determinate, espresse e legittime e trattati in modo compatibile con tali finalità; c) adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono trattati” (art. 3, comma 1, lett. b) e c)) ed il titolare è responsabile del rispetto di tali principi (art. 3, comma 4). Con particolare riguardo alla divulgazione di immagini personali, il D.P.R. n. 15/2018 prevede che “la diffusione di immagini personali è consentita quando la persona interessata ha espresso il proprio consenso o è necessaria per la salvaguardia della vita o dell'incolumità fisica o è giustificata da necessità di giustizia o di polizia; essa è comunque effettuata con modalità tali da non recare pregiudizio alla dignità della persona.” (art. 14, comma 2, D.P.R. n. 15/2018). Peraltro, ad oggi nessuna comunicazione risulta esser stata effettuata al Garante, ai sensi del comma 3 dell’articolo 14 citato, secondo cui “il Garante è informato delle direttive generali adottate in ambito nazionale sulla diffusione dei dati o delle immagini personali”.

3. La giurisprudenza della Corte EDU.

Più in generale, la diffusione di un’immagine di una persona destinataria di misure coercitive integra una violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), se non avviene nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 8 CEDU per cui “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Deve esaminarsi, quindi, se tale ingerenza sia prevista dalla legge, persegua uno scopo legittimo e sia proporzionata allo scopo perseguito (Corte EDU Toma c. Romania, n. 42716/02, 24 febbraio 2009, § 92; Khoujine e altri c. Russia, n. 13470/02, 23 ottobre 2008, § 117; Gurgenidze c. Georgia, n. 71678/01, 17 ottobre 2006, § 57; Sciacca c. Italia, n. 50774/99, 11 gennaio 2005, § 28/29).

La Corte EDU ha esaminato, quindi, tale ingerenza, al fine di stabilire se sia prevista dalla legge, persegua uno scopo legittimo e sia proporzionata allo scopo perseguito (Corte EDU Toma c. Romania, n. 42716/02, 24 febbraio 2009; Khoujine e altri c. Russia, n. 13470/02, 23 ottobre 2008; Gurgenidze c. Georgia, n. 71678/01, 17 ottobre 2006; Sciacca c. Italia, n. 50774/99, 11 gennaio 2005, § 28/29).

Per quanto riguarda l’esame dello scopo legittimo, la Corte EDU ha affermato che, per poter giustificare una tale limitazione del diritto alla vita privata, consistente nella pubblicazione di una foto relativa a soggetti sottoposti a procedure penali pendenti, devono sussistere delle valide e convincenti ragioni (Khoujine e altri c. Russia, cit., § 117; Toma c. Romania, n. 42716/02, 24 febbraio 2009, § 92). Nei suddetti giudizi, in un caso, le autorità avevano fornito alla stampa la foto di un interessato al tempo in stato di custodia cautelare, in un altro caso, avevano consentito l’accesso della stampa ai locali di polizia dove un altro interessato si trovava in arresto. Tenuto conto del fatto che i ricorrenti non erano latitanti, si trovavano in stato di detenzione e il pro¬cesso non era ancora cominciato, la Corte ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 8 CEDU poichè l’ingerenza non perseguiva alcuno scopo legittimo, non mirando a proteggere alcun interesse di giustizia, quale ad esempio assi¬curare la comparizione del ricorrente al processo o prevenire delle infrazioni di natura penale (Khoujine e altri c. Russia, cit., § 117; Toma c. Romania, n. 42716/02, 24 febbraio 2009, § 92).

Quanto alla proporzionalità della misura adottata, la Corte EDU ha ritenuto non applicabile mutatis mutandis la propria giurisprudenza relativa alla pubblicazione sulla stampa di immagini o video di personaggi pubblici ai casi in cui tali pubblicazioni riguar¬dino persone accusate nel quadro di un procedimento penale, non ritenute “figure pubbliche” per il solo fatto di essere parte di un processo penale, bensì “persone ordinarie”, che devono godere quindi di una maggiore prote¬zione del diritto alla vita privata (Sciacca c. Italia, cit., § 28/29 e Gourguénidzé c. Georgia, cit., § 57). Ne discende che, nella fattispecie, non può riconoscersi, come invece sostiene il Ministero, alcun evidente interesse pubblico alla diffusione delle immagini in esame per il solo fatto che si trattava di “rapinatore seriale di donne anziane che agiva secondo specifiche metodologie” (cfr. scritto difensivo del 1° aprile 2020 cit.).
Deve tenersi conto, peraltro, che le persone sottoposte a procedimento giudiziario godono dell’ulteriore protezione derivante dalla “presunzione di non colpevolezza” di cui all’art. 27, comma 2, della Costituzione (cfr. artt. 6, par. 2, CEDU, 48 CDFUE, cons. 31 della Direttiva UE 2016/680). Se è quindi lecito fornire all’opinione pubblica un’informazione il più possibile completa su quegli aspetti della indagine che non sono più coperti da segreto, è sempre necessario tenere in debita considerazione la presunzione di non colpevolezza e la dignità delle persone sottoposte ad indagine (v. circolare della Procura di Napoli n. 4 del 19 dicembre 2017.

4. Il trattamento dei dati e la dignità della persona.

Ciò considerato, tenuto conto altresì delle disposizioni sovranazionali e della giurisprudenza della Corte EDU citate, il trattamento in esame, consistente nella divulgazione dell’immagine dell’interessato nel contesto suddetto, non è risultato “necessario” per l’esecuzione di un compito di un’autorità competente per le finalità di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali (cfr. artt. 3, c. 1, lett. a) e 5 d.lgs. n. 51/2018). Al riguardo, il Ministero non ha dimostrato nel corso del procedimento dinanzi al Garante le effettive necessità di polizia a fondamento della divulgazione in esame, né tale necessità può ravvisarsi nel generico intento di “verificare se altre persone fossero state in grado di riconoscerlo come autore di reati predatori commessi in loro danno” (cfr. nota del Ministero del 7 novembre 2020 cit. e scritto difensivo del 1° aprile 2021 cit.), privo di ogni elemento di concretezza e specificità che possa giustificare un trattamento qual è quello in esame.

Nella specie, l’interessato non era latitante, ma anzi si trovava in stato di detenzione già da alcuni mesi e dagli elementi emersi in corso d’istruttoria non è stata dimostrata alcuna effettiva necessità, per l’esecuzione dei compiti di polizia, a divulgare la foto che ritraeva lo stesso.

Si evidenzia, peraltro, che le immagini in esame, inserite nella scheda predisposta dalla Squadra Mobile per la conferenza stampa (cfr. note prot. n. 40688 del 7 novembre 2020 e prot. 13155 del 1° aprile 2021), appaiono avere le caratteristiche di immagini acquisite durante la sua detenzione. Lo stesso appare raffigurato in posizione frontale (in una, a figura intera e con le braccia allargate a ridosso di un muro) e nel video in esame tali immagini sono accompagnate da un testo che dà conto del riconoscimento ad opera di una delle vittime dell’interessato quale autore dei reati oggetto di giudizio.
Al riguardo, come ricordato dalla Suprema Corte di Cassazione, la dignità della persona umana va tutelata in ogni situazione, specie “quando la persona si trovi in una situazione di momentanea inferiorità che la rende particolarmente esposta e vulnerabile, allo scopo di evitare che la legittima ed anzi tutelata anche a livello costituzionale attività di diffusione delle notizie sia effettuata con modalità gratuitamente umilianti nei confronti dei soggetti coinvolti. La foto segnaletica nasce infatti con una finalità precisa (identificare un soggetto nello schedario di polizia) e per questo deve rispettare certi requisiti standard per cui, per la posizione forzata fatta assumere al soggetto ritratto, per il fatto che reca delle indicazioni numeriche in sovrimpressione atte ad identificare la persona ritratta, inequivocabilmente sottoposta a misura restrittiva della libertà, per il contesto di luogo e di fatto in cui è scattata, essa ritrae una persona contro la sua volontà in una situazione obiettivamente umiliante in cui questa non può opporsi nè allo scatto della foto nè ad altre pratiche identificative per altri versi mortificanti” (Cass. Civ., sez. III, 6 giugno 2014 n. 12834). Nella fattispecie, seppur la immagini in esame non sono quelle relative al fotosegnalamento del reclamante, come dichiarato dal Ministero (cfr. nota del 7 novembre 2020 cit.), si evidenzia che ricorrono comunque tutti gli altri elementi menzionati dalla Suprema Corte (posizione forzata del soggetto, ritratto in primo piano, senza il suo consenso e in una situazione obiettivamente umiliante), alle quali si aggiunge, nel video in esame, la didascalia del riconoscimento dello stesso che è stato fatto da una delle vittime.

Peraltro, sia che si tratti della diffusione di una “foto segnaletica” sia che si tratti della diffusione di una semplice foto formato tessera dell’arrestato, deve comunque tenersi conto della “particolare potenzialità lesiva della dignità della persona connessa all’enfatizzazione tipica dello strumento visivo, e della maggiore idoneità di esso ad una diffusione decontestualizzata e insuscettibile di controllo da parte della persona ritratta” (Cass. Civ., sez. III, 6 giugno 2014 n. 12834; Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2020 n. 8878).

In tema di divulgazione delle immagini di persone sottoposte a procedimenti giudiziari, il Garante è intervenuto più volte nei confronti di testate giornalistiche e siti internet, affermando il divieto di diffondere le immagini delle medesime, anche nell’ambito di conferenze stampa, se non ricorrono fini di giustizia e di polizia o motivi di interesse pubblico (tra gli altri, Provv. n. 76 del 25 febbraio 2021 in www.gpdp.it - doc. web n. 9568040, n. 38 del 7 febbraio 2019 in www.gpdp.it - doc. web n. 9101651 26 novembre 2003 in www.gpdp.it - doc. web n. 1053631, Provv. 19 marzo 2003 in www.gpdp.it - doc. web n. 1053451).

Alla luce degli assorbenti criteri definiti dalla Suprema Corte circa la potenzialità lesiva dell’immagine e della dignità di persone sottoposte a poteri coercitivi, diviene irrilevante soffermarsi ulteriormente sulla circostanza se si tratti o non di “immagini di persone in stato di detenzione”, rilevando invece il fatto che il trattamento in parola non è sorretto da necessità di polizia. Ciò in quanto il trattamento in esame è stato effettuato dal Ministero nell’ambito dell’esercizio di compiti di polizia, come riconosciuto dallo stesso Ministero, e non è regolato, quindi, dagli articoli 136 e ss del Codice e dal relativo Codice deontologico, che all’articolo 8 reca una disciplina ad hoc per la divulgazione di immagini di persone in stato di detenzione nell’ambito dell’attività giornalistica, bensì dal d.lgs. 51/2018, nonché dal DPR n. 15/2018 citati.

Ciò considerato, ai fini della valutazione della liceità del trattamento in esame, non rileva poi la circostanza che “la conferenza stampa indicata nel reclamo è stata tenuta con l’assenso dell’Autorità giudiziaria”(cfr. nota della Questura del 24 febbraio 2021 cit. e scritto difensivo del 1° aprile 2021 cit.), potendo tale assenso rilevare al solo fine di escludere che la divulgazione delle informazioni fornite in sede di conferenza stampa dalla Questura interessata potesse avvenire in violazione di legge o incidere negativamente sul procedimento penale in corso (cfr. artt. 114 e 329 c.p.p.). Tale assenso non esonerava comunque il Ministero da un’accurata valutazione sulla conformità del trattamento in questione ai principi in materia di protezione dei dati personali.

Nel caso in esame, pertanto, il trattamento in esame deve essere esaminato alla luce del d.lgs. n. 51/2018, per cui il trattamento dei dati personali da parte delle autorità di polizia è “lecito se è necessario” per l'esecuzione di un compito  di  un'autorità  competente  per  le   finalità   di   polizia e di giustizia (artt. 1, comma 2, 3, comma 1, lett. a) e 5 del d.lgs. n. 51/2018) e del DPR n. 15/2018, che con specifico riguardo alla divulgazione delle immagini sancisce, al comma 2, che la stessa è consentita quando è giustificata “da necessità di giustizia o di polizia; essa è comunque effettuata con modalità tali da non recare pregiudizio alla dignità della persona”.

Tali principi di necessità di giustizia e polizia e di tutela della dignità della persona, richiamati a tutela dell’immagine anche dagli artt. 10 c.c. e 97 l. 633/1941, sono espressamente richiamati dallo stesso Ministero nella circolare 123/A183.B320 del 26.2.1999, con cui si sottolinea l'esigenza che, anche nell'ipotesi di indiscutibile "necessità di giustizia e di polizia" alla diffusione di immagini, circostanza che non ricorre nella vicenda in esame, "il diritto alla riservatezza della tutela della dignità personale va sempre tenuto nella massima considerazione". Anche nella successiva circolare 555/EST/S/1/1668/14 del 23 luglio 2014 concernente l'attività di informazione e comunicazione istituzionale della Polizia di Stato, si evidenzia che “la diffusione di foto segnaletiche può invece essere autorizzata solo quando siano le uniche disponibili, e sussista la necessità di divulgarle, come nell'ipotesi di evasioni o di pericolose latitanze”. Nella vicenda in esame, come si è visto, l’omissione dei numeri in sovraimpressione non fa venir meno le caratteristiche proprie delle immagini in questione.

3. Conclusioni.

Alla luce delle valutazioni sopra richiamate, tenuto conto delle dichiarazioni rese dal titolare del trattamento nel corso dell’istruttoria ˗ e considerato che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante” ˗ gli elementi forniti dal titolare del trattamento nelle memorie difensive non consentono di superare i rilievi notificati dall’Ufficio con l’atto di avvio del procedimento.

Posto, infatti, che il titolare è responsabile del rispetto dei principi di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 51/2018 (art. 3, comma 4) e deve essere “in grado di comprovarlo” (art. 4, par. 4, Direttiva UE 2016/680), si ribadisce che nel corso dell’istruttoria svolta non è emersa alcuna effettiva necessità di divulgare le immagini in questione – in aggiunta alle diverse informazioni fornite a corredo delle stesse, tra cui le generalità dell’interessato - risultando il trattamento medesimo non solo non necessario, ma altresì eccedente rispetto alle finalità di polizia (art. 3, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 51/2018).

Deve tenersi conto, nella fattispecie, che il medesimo interessato si trovava già in stato di detenzione e che la finalità indicata dal Ministero appare, per la sua genericità, inidonea a giustificare una diffusione di immagini di tale natura, senza alcuna considerazione per le cennate esigenze di tutela della dignità, della sfera privata e di protezione dei dati personali, chiaramente presidiate dalla Corte EDU e dalla Suprema Corte di Cassazione.

In altri termini, le immagini in esame sono state diffuse dal Ministero in violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali ed in modo lesivo della dignità della persona interessata, anche in considerazione dello stato di soggezione dell’interessato.

Per tali ragioni, il trattamento di dati personali effettuato dal Ministero dell’interno mediante la divulgazione in questione risulta illecito, in violazione degli articoli 3, comma 1, lett. a) e c) e 5 del d.lgs. n. 51/2018 e 14 del D.P.R. n. 15/2018.

La violazione della disposizione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a) è punita, ai sensi dell’articolo 42, comma 1, del d.lgs. n. 51/2018, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 50.000 euro a 150.000 euro.

Il medesimo articolo stabilisce al terzo comma che nella determinazione della sanzione amministrativa da applicare si tiene conto dei criteri di cui all'articolo 83, paragrafo 2, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), k), del Regolamento. Sulla base di tali criteri, deve tenersi conto della particolare natura dei dati in parola (immagini riferite ad una persona in stato di detenzione, in relazione ad un procedimento penale che lo vede coinvolto), dell’ambito territoriale di riferimento e della circostanza che, in corso di procedimento dinanzi al Garante e nelle memorie difensive, il titolare ha erroneamente rappresentato che “nell’articolo di Nicola Cendon pubblicato su “XX” in data 31.01.2020, non compare alcuna foto dell’arrestato, del quale, oltretutto, non viene neppure indicato il nome, bensì le sole iniziali XX”, mentre vi è la dimostrazione del contrario.

In ragione dei suddetti elementi, valutati nel loro complesso, si ritiene di determinare l’ammontare della sanzione pecuniaria per la violazione dell’articolo 3, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 51/2018 in euro 50.000 (cinquantamila), quale misura effettiva, proporzionata e dissuasiva (art. 83, par. 1, Regolamento).

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

dichiara l’illiceità del trattamento dei dati dell’interessato, svolto dal Ministero, per la violazione degli articoli 3, comma 1, lett. a) e c) e 5 del d.lgs. n. 51/2018 e 14 del D.P.R. n. 15/2018, nei termini di cui in motivazione e, conseguentemente,

ORDINA

al Ministero dell’Interno, titolare del trattamento, di pagare la somma di euro 50.000,00 (cinquantamila) a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione dell’articolo 3, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 51/2018, rappresentando che il contravventore, ai sensi dell'articolo 166, comma 8, del Codice, ha facoltà di definire la controversia mediante il pagamento, entro il termine di trenta giorni, di un importo pari alla metà della sanzione irrogata;

INGIUNGE

al predetto titolare, in caso di mancata definizione della controversia ai sensi del citato articolo 166, comma 8, del Codice, di pagare la somma di euro 50.000,00 (cinquantamila), secondo le modalità indicate in allegato, entro 30 giorni dalla notificazione del presente provvedimento, pena l’adozione dei conseguenti atti esecutivi a norma dall’articolo 27 della legge n. 689/1981;

DISPONE

ai sensi dell’articolo 166, comma 7, del Codice, la pubblicazione per intero del presente provvedimento sul sito web del Garante e ritiene che ricorrano i presupposti di cui all’articolo 17 del Regolamento n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante.

Ai sensi degli articoli 39, comma 3 del d.lgs. n. 51/2018 e 10 del d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione, in via alternativa, al tribunale del luogo in cui il titolare del trattamento risiede o ha sede, ovvero al tribunale del luogo di residenza dell'interessato, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso.

Roma, 24 febbraio 2022

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Cerrina Feroni

IL VICE SEGRETARIO GENERALE
Filippi