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Si chiama Echo, è israeliano e potrebbe essere l'incubo peggiore per la nostra privacy - Intervista a Guido Scorza

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Si chiama Echo, è israeliano e potrebbe essere l'incubo peggiore per la nostra privacy
L’idea è tanto semplice quanto pericolosa: acquistare e processare i dati personali che ciascuno di noi abbandona online, per poi rivenderli ad agenzie di intelligence e forze di polizia di mezzo mondo
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(HuffPost, 15 maggio 2023)

Si chiama Echo, viene dalla Rayzone, una società israeliana specializzata in servizi di cybersecurity e cyber intelligence e potrebbe essere uno degli incubi per la nostra privacy più spaventosi di sempre almeno a leggere il pezzo che Ryan Gallagher ha appena scritto per Bloomberg.

L’idea è tanto semplice quanto pericolosa: acquistare e processare i dati personali che, più o meno consapevolmente, ciascuno di noi abbandona online lasciandosi profilare a scopo pubblicitario e poi rivenderli ad agenzie di intelligence e forze di polizia di mezzo mondo perché li utilizzino per le loro esigenze acquisendo, tra l’altro, la capacità di geolocalizzarci.

Quelli che Bloomberg mette in fila, pur in assenza di conferme da parte della società fornitrice del servizio sembrano i classici indizi precisi e concordanti.

E, d’altra parte, alcune certezze ci sono.

La società, innanzitutto, esiste è viva e vegeta, fornisce esattamente questo genere di servizi e ha effettivamente rapporti con decine di Governi.

E esiste, certamente, anche Echo.

La società non lo pubblicizza per nome sul proprio sito internet sul quale, pure, promuove servizi che ne evocano le funzionalità ma basta giocare un po’ con un motore di ricerca per imbattersi in un documento in .pdf, stampato su carta intestata della Rayzone Group, pubblicato sul sito istituzionale del Governo di Tel Aviv, nel quale, nel portfolio dei prodotti della società compare proprio lui: Echo.

Il servizio è descritto così: “Echo - Global Virtual Sigint System è un sistema strategico, che fornisce alle agenzie di intelligence e alle forze dell'ordine un'ampia e trasparente informazione sugli utenti di Internet”.

E non basta perché navigando a ritroso online, si ritrovano tracce dell’utilizzo di Echo almeno da parte del Governo messicano già tra il 2019 e il 2020, quando, forse, Rayzone era più generosa di informazioni sul proprio “gioiello tecnologico”, perché la stampa online dell’epoca, racconta che la società israeliana lo descriveva così: “un metodo di raccolta completamente stealth su qualsiasi utente di Internet. ECHO è indipendente dal tipo di dispositivo, dal sistema operativo o dalla versione e non richiede la preinstallazione di alcuna apparecchiatura fisica. ECHO fornisce una piattaforma basata sul Web che consente agli utenti di accedere immediatamente a semplici interrogazioni e a indagini complesse. ECHO offre i vantaggi di un approccio centrato sull'obiettivo (raccolta di informazioni su un particolare punto di interesse) e centrato sui dati (raccolta di massa di tutti gli utenti di Internet in un Paese).”.

Ce n’è abbastanza, insomma, per ritenere che l’incubo tecnologico in questione sia reale e giri ormai da qualche anno.

Bloomberg, d’altra parte, ha sfogliato il materiale con il quale Rayzone promuove il suo servizio e il claim con il quale ne suggerisce la vendita lascia poco spazio alla fantasia: "Si può scappare, ci si può nascondere, ma non si può sfuggire alla propria eco".

Ora, tra le tante, una delle domande più importanti da porsi è: quali sono i Governi che hanno acquistato il servizio, da quanto lo usano, per farci cosa?

Perché quello che è certo è che i dati in questione, se ricondotti a una persona specifica, sono, ormai, di mettere letteralmente a nudo la vittima dell’investigazione fornendo a chiunque utilizzi il prodotto ogni genere di informazione personale, personalissima, intima su quest’ultima.

Sulla vicenda specifica, naturalmente, bisognerà indagare, investigare, capire.

Frattanto, però, l’occasione, forse, potrebbe servire a suggerirci una volta di più di attribuire il giusto valore alle informazioni sul nostro conto che lasciamo in giro online, ai frammenti della nostra identità personale che abbandoniamo alla deriva sui social o che, più o meno consapevolmente, scambiamo online con servizi e contenuti digitali.

Ecco, forse, il pensiero che quei dati personali - che, sempre più spesso diamo via a cuor leggero pensando che possano al massimo servire a qualcuno a proporci pubblicità di nostro interesse - potrebbero finire o, magari, già essere finiti, nelle mani di Governi più o meno amici, più o meno democratici, più o meno civili, varrà a renderci più prudenti, più attenti, più interessati a proteggere la nostra privacy.

O magari non servirà assolutamente a nulla perché, sfortunatamente, c’è ancora troppa strada da fare, in termini di educazione e cultura della protezione dei dati personali.

Scheda

Doc-Web
9887182
Data
15/05/23

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Tipologie

Interviste e interventi

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