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Provvedimento del 26 settembre 2019 [9165117]

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[doc. web. n.9165117]

Provvedimento del 26 settembre 2019

Registro dei provvedimenti
n. 170 del 26 settembre 2019

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della prof.ssa Licia Califano e della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, "Regolamento");

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito "Codice");

VISTO il reclamo presentato al Garante, in data 26 marzo 2019, ai sensi dell’art. 77 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito "Regolamento"), dal sig. XX, rappresentato e difeso dall'avv. XX, nei confronti di Google LLC, con il quale l’interessato ha chiesto la rimozione dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nome e cognome degli URL ivi indicati, in quanto rinvianti ad articoli relativi a un’indagine effettuata dalla magistratura contabile e penale per una truffa di 50 milioni di euro ai danni della UE, nell’ambito della quale il sig. XX sarebbe stato destinatario della misura cautelare del sequestro di beni mobili e immobili;

CONSIDERATO che il reclamante ha, in particolare:

segnalato che le indagini sono confluite in un procedimento penale davanti al Tribunale di Milano per i reati di truffa aggravata e associazione per delinquere, conclusosi con sentenza n. 1535 dell'8 giugno 2012, che ha ordinato la restituzione dei beni precedentemente sottoposti a sequestro cautelare e, contestualmente, a seguito di patteggiamento, disposto la pena di un anno e 10 mesi di reclusione, con sospensione condizionale della medesima;

evidenziato che di detta sentenza non viene data alcuna notizia negli URL recanti gli articoli di giornale, relativi esclusivamente alle precedenti fasi di indagine;

lamentato il pregiudizio derivante dalla perdurante diffusione di informazioni di carattere errato, obsoleto e non rispondente alla realtà, tanto che tali informazioni sarebbero state inserite nel “database di profilazione reputazionale” creato dalla azienda "Thomson Reuters World-check", al quale possono rivolgersi istituzioni finanziarie, società, studi professionali e agenzie governative, al fine di avere, dietro pagamento, informazioni utili circa soggetti specifici;

invocato il diritto all’oblio, sulla base dell’art. 17 del Regolamento e della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 nel caso C-131/12, sostenendo che le notizie relative al procedimento penale sarebbero prive di interesse pubblico in quanto obsolete e non aggiornate, poiché non si darebbe atto dei successivi sviluppi della sua vicenda giudiziaria;

rappresentato di aver inviato a Bing una richiesta di deindicizzazione, che è stata parzialmente accolta (non sono stati rimossi solo due URL, allo stato però non più visibili);

segnalato di aver inviato a Google una analoga richiesta, non accolta, di deindicizzazione avente ad oggetto, tra gli altri, gli URL poi contestati con il reclamo;

VISTA la nota del 18 aprile 2019, con la quale questa Autorità ha chiesto a Google, in qualità di titolare del trattamento, di fornire riscontro alla richiesta del reclamante e di far conoscere se avesse intenzione di adeguarsi ad essa;

VISTO il riscontro del 3 maggio 2019, con il quale Google, rappresentata e difesa dagli avv.ti XX, XX e XX, ha dichiarato di non ritenere sussistenti i presupposti per poter accogliere l’istanza di questione, in ragione:

a) della mancanza del requisito del trascorrere del tempo, in quanto i contenuti cui indirizzano gli URL contestati risalgono al 2011 e riportano informazioni riguardanti un procedimento penale che si è concluso con il patteggiamento di una sentenza di condanna nel 2012;

b) del ruolo pubblico del reclamante, in quanto lo stesso ha lavorato direttamente per la Commissione Europea, rivestendo i ruoli sia di consulente sia di project officer, e tuttora è impiegato in attività professionali di consulenza e di gestione di impresa tramite la sua società XX;

c) del fatto che le notizie in questione rinviano ad un procedimento giudiziario riguardante reati gravi, perpetrati nello svolgimento dell'attività professionale del reclamante e nell'utilizzo di fondi erogati dall’Unione Europea, ai danni di istituzione pubbliche;

VISTA l'ulteriore memoria depositata in data 26 aprile 2019 nella quale il reclamante ha ribadito le proprie ragioni, sottolineando che "si è trattato di un fatto isolato nella sua vita, avendo sempre tenuto una condotta ligia e rispettosa delle regole";

RILEVATO, preliminarmente, rispetto a quanto sopra rappresentato, che:

come comunicato da Google alle autorità di controllo europee, il trattamento di dati personali connesso all’utilizzo del proprio motore di ricerca da parte degli utenti risulta direttamente gestito, anche per il territorio UE, da Google LLC, avente sede negli Stati Uniti;

la competenza del Garante a trattare i reclami proposti nei confronti della società resistente risulta pertanto fondata sull’applicazione dell’art. 55, par. 1, del Regolamento, in quanto la società è stabilita all'interno del territorio italiano tramite Google Italy, secondo i principi fissati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014, "Google Spain e Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González" (causa C-131/12);

CONSIDERATO che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”;

RILEVATO poi che gli URL oggetto di reclamo:

risultano risalenti nel tempo (2011) e sono relativi ad una indagine penale che si è definita con il patteggiamento della pena, procedura in ordine alla quale l’ordinamento esclude l’iscrizione nel casellario giudiziale (art.24(L), comma 1, lettera e, del d.pr n. 313 del 2002, Testo unico sul casellario giudiziale), prevedendo altresì, ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p., l’estinzione del reato qualora nell’arco dei cinque anni successivi l’imputato non commetta altri delitti o contravvenzioni della stessa indole;

risultano rinviare a notizie non aggiornate, in quanto non danno conto del fatto che il procedimento penale si è concluso con il patteggiamento di una sentenza di condanna nel 2012;

CONSIDERATO, con riguardo agli URL indicati dal reclamante, che la richiesta di loro rimozione dal motore di ricerca deve essere ritenuta fondata, in quanto la reperibilità in rete, mediante il motore di ricerca, dei suddetti articoli, origina un impatto negativo sull’interessato, in misura del tutto sproporzionata rispetto all’interesse collettivo all’agevole accesso alla notizia (cfr. punto 8 delle Linee Guida sull’attuazione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso C-131/12 sopra citata, WP 225, adottate dal Gruppo art. 29 il 26 novembre 2014);

RITENUTO inoltre che la permanente indicizzazione di tali URL sia idonea a vanificare del tutto gli effetti dei benefici concessi in sentenza con il patteggiamento e, in particolare, di quello della non menzione nel casellario giudiziale, come del resto già chiarito da questa Autorità (cfr. in particolare, provv. del 16 maggio 2018, doc. web 9003442 e provv. 25 giugno 2015, doc. web 4220661);

RITENUTO di dover pertanto valutare il reclamo fondato, alla luce degli artt. 17, comma 1 lett. c) e 21, comma 1, del Regolamento, e di dover, per l’effetto, ingiungere a Google di deindicizzare, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, gli URL indicati nell’atto di reclamo;

RILEVATO che, in caso di inosservanza di quanto disposto dal Garante, può trovare applicazione la sanzione amministrativa di cui all’art. 83, par. 5, lett. e), del Regolamento;

RITENUTO che ricorrano i presupposti per procedere all’annotazione nel registro interno dell’Autorità di cui all’art. 57, par. 1, lett. u), del Regolamento, relativamente alle misure adottate nel caso di specie in conformità all'art. 58, par. 2, del Regolamento medesimo;

CONSIDERATO, tuttavia, che la misura adottata nel caso in esame discende da una valutazione effettuata dall’Autorità sulla base delle specificità del singolo caso e che, pertanto, l'iscrizione di essa nel registro interno sopra citato non potrà essere ritenuta, in eventuali futuri procedimenti incardinati nei confronti del medesimo titolare del trattamento, quale precedente pertinente ai fini previsti dall’art. 83, par. 2) lett. e), del Regolamento;

RILEVATO infine che l’eventuale aggiornamento delle notizie obsolete relative all’intervenuto patteggiamento riguarda non il motore di ricerca, ma le testate che hanno pubblicato le notizie, alle quali perciò il reclamante potrà eventualmente chiedere l’aggiornamento dei dati che lo riguardano ai sensi dell’art. 16 del Regolamento;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE il dott. Antonello Soro;

TUTTO CIO’ PREMESSO IL GARANTE

a) ai sensi dell’art. 57, par. 1, lett. f) del Regolamento dichiara il reclamo fondato con riguardo agli Url indicati nell’atto di reclamo, e, per l’effetto, ai sensi degli artt. 58, par. 2, lett. c) e g) del Regolamento, ingiunge a Google LLC di rimuovere, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, gli URL medesimi quali risultati, anche delle versioni europee, di una ricerca effettuata in associazione al nome e cognome dell’interessato;

b) dispone l’iscrizione nel registro di cui all’art. 57, par. 1, lett. u), del Regolamento nei termini di cui in premessa.

Il Garante, ai sensi dell’art. 157 del Codice, invita Google LLC a comunicare, entro trenta giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento, quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione a quanto ivi prescritto, Si ricorda che il mancato riscontro alla richiesta di cui sopra è punito con la sanzione amministrativa di cui agli artt. 166 del Codice e 83, par.5, lett. e) del Regolamento.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 26 settembre 2019

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Soro

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia