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Provvedimento del 16 maggio 2018 [9003434]

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[doc. web n. 9003434]

Provvedimento del 16 maggio 2018

Registro dei provvedimenti
n. 304 del 16 maggio 2018

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della prof.ssa Licia Califano, , componente e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

VISTO il ricorso presentato al Garante in data 19 marzo 2018 da XX, rappresentato e difeso dall’avv. Raffaele Gaetano Crisileo, nei confronti di Google LLC (già Google Inc) con il quale il ricorrente, ribadendo le istanze già avanzate ai sensi degli artt. 7 e 8 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali (di seguito “Codice”), ha chiesto di ottenere:

la cancellazione dal sito sorgente di notizie relative ad una vicenda in cui è stato coinvolto nella sua qualità di parroco, ivi compreso il relativo video, nonché la rimozione, dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nome e cognome, di cinque URL ad esse collegati;

la liquidazione in proprio favore delle spese sostenute per il procedimento;

CONSIDERATO che il ricorrente ha, in particolare, lamentato il pregiudizio causato alla sua reputazione dalla perdurante diffusione di informazioni legate ad una delicata vicenda, risalente al 2013 e conclusasi l’anno successivo con una pronuncia di archiviazione del procedimento penale attivato a suo carico non essendo risultati integrati, nella condotta da lui tenuta, gli estremi del reato contestato (violenza sessuale); 

VISTI gli ulteriori atti d’ufficio e, in particolare, la nota del 30 marzo 2018 con la quale questa Autorità, ai sensi dell’art. 149, comma 1, del Codice, ha invitato il titolare del trattamento a fornire riscontro alle richieste del ricorrente, nonché il verbale dell’audizione svoltasi in data 16 aprile 2018 presso la sede del Garante;

VISTA la nota del 10 aprile 2018 con la quale il ricorrente ha ribadito le proprie richieste, rilevando come la magistratura abbia riconosciuto l’irrilevanza penale dei fatti a lui addebitati ed evidenziando altresì che la perdurante reperibilità in rete di tali contenuti integrerebbe una “gogna mediatica” idonea a danneggiare “a tempo indeterminato la [sua] professionalità”, oltreché a “precludendogli il sereno esercizio della propria azione magisteriale, pastorale e di docenza biblica”;

VISTE le note del 6 e del 12 aprile 2018 con le quali Google, rappresentata dagli avvocati Marco Berliri, Massimiliano Masnada ed Alberto Bellan, ha rilevato:

che la richiesta di cancellazione dei contenuti indicati nell’atto di ricorso non risulta avanzata in sede di interpello preventivo e che, in ogni caso, Google non ha, con riguardo ad essa, alcun potere di intervento in quanto svolge una mera funzione di “caching provider” ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 70 del 9 aprile 2003, contenente l’“Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno”;

con riguardo alla richiesta di deindicizzazione, di aver provveduto ad adottare, rispetto a due degli URL indicati dal ricorrente, misure manuali volte ad inibirne il reperimento in associazione al suo nome, tenuto conto del fatto che quest’ultimo non è stato rinvenuto all’interno dei contenuti ai quali gli stessi rinviano;

di non poter invece aderire alla richiesta di rimozione dei restanti URL ritenendo che, nel caso di specie, non risulti sussistente l’elemento del trascorrere del tempo, costitutivo del diritto all’oblio, trattandosi di fatti risalenti a maggio del 2013 e perdurando altresì l’interesse pubblico “alla reperibilità delle notizie sulle molestie ai danni di una fedele di cui si è reso protagonista” il ricorrente, tenuto conto del ruolo tuttora ricoperto da quest’ultimo;

tale evento, documentato in un servizio giornalistico realizzato dal programma “Le Iene” tramite il posizionamento di una telecamera nascosta, è stato oggetto di un’inchiesta giudiziaria all’esito della quale il magistrato, “pur riconoscendo la sussistenza delle molestie documentate (…), non riteneva integrato il reato” contestato all’interessato ed ha chiesto pertanto l’archiviazione del procedimento;

a prescindere dal rilievo penale della vicenda, le informazioni reperibili tramite gli URL oggetto di richiesta di rimozione corrispondono in ogni caso, come sostenuto anche dallo stesso magistrato nella richiesta di archiviazione, ad una condotta impropria tenuta dal ricorrente in occasione dell’esercizio della sua funzione, rendendo con ciò evidente la necessità di tutelare, tramite la conoscibilità della notizia, la collettività di riferimento;

negli URL oggetto di richiesta di rimozione, infine, non è fatta alcuna menzione del procedimento penale che ha coinvolto il ricorrente, da cui consegue che, rispetto ad essi, non rileva l’intervenuta archiviazione; 

CONSIDERATO, preliminarmente, che l’istanza di cancellazione dal sito sorgente delle notizie relative alla vicenda nella quale è stato coinvolto il ricorrente, ivi compreso il video riferito al servizio giornalistico, non ha formato oggetto di interpello preventivo e che, pertanto, il ricorso, con riguardo ad essa, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 148, comma 1, lett. b), del Codice;

RITENUTO poi di dover dichiarare, ai sensi dell’art. 149, comma 2, del Codice, non luogo a provvedere sul ricorso in ordine ai due URL – così come individuati a pag. 4 della memoria della resistente del 13 aprile 2018 – per i quali Google ha dichiarato (con attestazione della cui veridicità l’autore risponde ai sensi dell’art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni e notificazioni al Garante”) di aver provveduto ad adottare misure manuali di deindicizzazione degli stessi; 

CONSIDERATO, con riguardo alla richiesta di rimozione dei restanti URL, che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per ritenere legittimamente esercitato il diritto all’oblio, occorre tenere conto, oltre che dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo, anche degli ulteriori criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12);

RILEVATO, in particolare, che:

la vicenda oggetto dei contenuti reperibili tramite detti URL, oltre a non essere particolarmente risalente nel tempo, risulta di sicuro interesse pubblico in virtù del delicato ruolo tuttora ricoperto dal ricorrente e della manifesta connessione con esso dei fatti avvenuti;

questi ultimi, al di là del loro rilievo penale, sono idonei a suscitare l’attenzione della collettività, con specifico riguardo alla comunità religiosa di riferimento che, tramite la conoscenza di tali informazioni, viene posta nella condizione di poter sviluppare un pensiero critico sulla vicenda;

RITENUTO di dovere pertanto dichiarare il ricorso infondato con riguardo alla richiesta di rimozione dei restanti URL;

RITENUTO che sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del procedimento, in particolare tenuto conto della parziale inammissibilità del ricorso, nonché della parziale infondatezza del ricorso;

VISTI gli artt. 145 e ss. del Codice;

VISTE le osservazioni dell’Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE il dott. Antonello Soro;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE:

a) dichiara il ricorso inammissibile con riguardo all’istanza di cancellazione dal sito sorgente delle notizie relative alla vicenda nella quale è stato coinvolto il ricorrente;

b) dichiara non luogo a provvedere sul ricorso con riguardo alla richiesta di rimozione di due degli URL indicati dall’interessato, come identificati in motivazione;

c) dichiara il ricorso infondato con riguardo ai restanti URL;

d) dichiara compensate fra le parti le spese del procedimento.

Ai sensi degli artt. 152 del Codice e 10 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria, con ricorso depositato al tribunale ordinario del luogo ove ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso, ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 16 maggio 2018

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Soro

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia