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Newsletter 26 giugno - 2 luglio 2000

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Newsletter 26 giugno - 2 luglio 2000  

 

  • La legge sulla privacy si applica in parte anche agli uffici giudiziari.
  • Dati genetici.Un convegno traccia le linee d´intervento.
  • USA. In vendita i dati di un´importante ricerca cardiologica.

 

La legge sulla privacy si applica in parte anche agli uffici giudiziari

La legge n. 675 del 1996 si applica integralmente ai trattamenti di dati effettuati da organi pubblici per scopi amministrativi e quindi anche presso uffici, amministrazioni ed enti che svolgono compiti in materia di giustizia.

Ai trattamenti di dati personali svolti per "ragioni di giustizia", la legge n. 675 è, invece, al momento applicabile solo limitatamente ad alcuni suoi articoli. Per alcune parti della medesima legge, attualmente non applicabili, il Parlamento aveva previsto, con le leggi delega nn. 676/1996 e 344/1998, l´emanazione di uno specifico decreto legislativo al fine di individuare alcuni opportuni bilanciamenti e coordinamenti tra la generale disciplina sulla riservatezza dei dati e i particolari interessi pubblici connessi all´attività giudiziaria, meritevoli di specifica considerazione.

Il quadro normativo suesposto, già messo in evidenza dal Garante in occasione di vari provvedimenti adottati in passato anche in collaborazione con altre istituzioni, quali il CSM, è stato ribadito dall´Autorità con un parere reso su richiesta del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. L´organo di autogoverno dei giudici tributari aveva chiesto al Garante di precisare se la legge n.675 si riferisse anche a detto organismo e, più in generale, aveva posto la questione dell´applicabilità della legge sulla protezione dei dati personali all´attività degli uffici giudiziari, sia ordinari che amministrativi, contabili o tributari.

Dalla pronuncia dell´Autorità si evince che la legge n. 675, nella parte in cui disciplina diversamente, almeno in parte, i trattamenti a fini amministrativi e quelli per "ragioni di giustizia", non introduce, rispetto a questi ultimi, ulteriori distinzioni basate sul soggetto che effettua i trattamenti stessi (ad esempio, distinzioni basate sulle funzioni svolte dal personale amministrativo o direttamente dalla magistratura). La legge non permette poi di ritenere che i trattamenti di dati personali svolti per "ragioni di giustizia" siano solo quelli amministrativi "strumentali" alla funzione giurisdizionale, anziché anche quelli comunque curati dall´autorità giudiziaria nell´ambito delle sue diverse attività.

Tutto ciò premesso, il Garante ha quindi nuovamente sottolineato che per i trattamenti di dati ai quali la legge si applica solo in parte (tra i quali appunto quelli per "ragioni di giustizia": art. 4 della legge), è comunque necessario già oggi rispettare alcune disposizioni della legge.

Ad esempio, la raccolta dei dati deve avvenire secondo modalità corrette; i dati devono essere poi pertinenti agli scopi per i quali vengono raccolti; le informazioni devono essere complete, esatte ed aggiornate ed è necessario adottare misure di sicurezza per evitare un loro uso illecito, la loro perdita o distruzione o gli altri rischi indicati nell´art. 15 della legge.

Per quanto riguarda invece gli organi che svolgono funzioni di autogoverno dei diversi ordini giudiziari, l´art. 4 menziona attualmente solo il Consiglio superiore della magistratura. Tuttavia, ha osservato il Garante, dagli atti preparatori della legge n. 675/1996, la mancata considerazione degli altri organi di autogoverno (alcuni dei quali, come il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, sono stati incardinati dopo l´entrata in vigore della legge stessa) non sembra derivata da una definitiva volontà legislativa di esclusione, quanto piuttosto dalla decisione di demandare la compiuta disciplina della materia ai ricordati decreti delegati da emanare appunto in materia di protezione dei dati personali utilizzati per ragioni di giustizia. Tali decreti, se verrà rinnovata la delega prevista da un d.d.l. in discussione in Parlamento, permetterebbero infatti di introdurre, laddove necessario, gli eventuali adattamenti normativi resi indispensabili dalla specificità dei trattamenti dei dati.

Peraltro, la circostanza che al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria al momento si applichi l´intera legge n. 675 anziché le sole disposizioni indicate nel comma 2 dell´art. 4, non deve far ritenere che si pongano ostacoli all´esercizio dell´attività istituzionale propria del Consiglio, che può utilmente continuare a disciplinare i flussi di dati trattati con particolare riferimento a quanto previsto dagli artt. 22 e 24 della legge e alle disposizioni contenute nel decreto legislativo n.135 relativo al trattamento dei dati sensibili nella pubblica amministrazione.

 

Dati genetici. Un convegno traccia le linee d´intervento

Mercoledì 21 giugno si è svolto a Roma il convegno, organizzato da Legambiente con la collaborazione del Garante per la protezione dei dati personali e del Comitato nazionale per la bioetica, intitolato "I nostri dati genetici" a cui hanno partecipato Giovanni Berlinguer, Ermete Realacci, Bruno Dallapiccola, Mario Condorelli, Marina Frontali, Paolo Vineis.

Il convegno ha avuto lo scopo di riflettere sul fenomeno sempre più diffuso dei test genetici e sull´irrompere di logiche esclusivamente commerciali nell´uso di dati genetici, ma anche quello di confermare la necessità di assicurare una adeguata normativa a garanzia della riservatezza delle informazioni genetiche e del loro corretto uso.

Aprendo i lavori del convegno, Giuseppe Santaniello, vice presidente dell´Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha delineato il contesto giuridico e le prospettive di azione in materia di informazioni genetiche. Il vice presidente del Garante ha affermato che, se nel suo complesso, la normativa italiana è ancora insufficiente, la legge n.675 del 1996 sulla protezione dei dati personali rappresenta un momento fondamentale poiché fissa le norme per il trattamento dei dati sensibili, in particolare di quelli sanitari e genetici. Sulla scorta di questa legge "il Garante ha svolto un ruolo di battistrada e, di fatto, ha tracciato le linee guida per inquadrare giuridicamente il delicato tema dei dati genetici e per sensibilizzare l´opinione pubblica".

Il prof. Santaniello ha ricordato la prima autorizzazione generale sul trattamento dei dati sensibili emanata dall´Autorità nel 1997 che ha autorizzato il trattamento dei dati genetici entro determinati limiti e cautele: con il consenso scritto dell´interessato il trattamento dei dati genetici deve limitarsi alle informazioni e alle operazioni indispensabili per tutelare l´incolumità fisica e la salute dell´interessato, di un terzo o della collettività. E´ invece necessaria un´apposita autorizzazione del Garante nel caso in cui l´interessato non abbia prestato il proprio consenso e il trattamento sia finalizzato alla tutela della salute di un terzo o della collettività.

L´azione di intervento e di orientamento giuridico del Garante proseguirà con la prevista emanazione, entro il 1° ottobre, della specifica autorizzazione generale sui dati genetici, che rappresenterà l´ulteriore momento di evoluzione normativa in materia.

Ad avviso di Santaniello è comunque necessario "ampliare il processo di produzione giuridica sia a livello nazionale che internazionale ed arrivare ad una cornice legislativa tra tutti i Paesi interessati a dare un quadro normativo alle informazioni genetiche".

In questa direzione, occorre muoversi in un "policentrismo di fonti", utilizzando non solo fonti legislative di tradizione europea, ma mutuando anche il modello di diritto americano basato sui codici di autodisciplina.

Sull´uso dei test genetici e sullo sviluppo delle conoscenze in campo scientifico, Santaniello ha sottolineato, infine, la necessità di evitare le discriminazioni sociali sulla base dei dati genetici, ricordando a questo proposito l´importante decreto emanato di recente dal Presidente Clinton che fa divieto agli enti federali di discriminare i propri dipendenti sulla base delle informazioni ricavate dai test genetici.

Un piano d´azione in sette punti per assicurare un utilizzo corretto dei dati genetici e per evitare l´uso a fini economici, commerciali o discriminatori di questi dati personali delicatissimi, è stato proposto

da Stefano Rodotà. Il presidente dell´Autorità Garante,

ha affrontato il complesso intreccio - etico, sociale, giuridico ed economico - tra nuove conquiste in campo scientifico, diritto di proprietà sulle informazioni genetiche, la particolare protezione che ad esse occorre garantire e i rischi di discriminazione sociale insiti nell´uso senza regole dei test genetici.

Ha innanzitutto ricordato come i dati genetici siano strutturalmente diversi dagli altri dati di tipo sensibile perché vengono condivisi tra alcuni soggetti, dando origine ad un nuovo gruppo sociale, e perché sono immodificabili.

I dati genetici dunque, oltre a richiedere per la loro stessa delicatezza una tutela rafforzata, pongono problemi di gestione e di raccolta del tutto particolari. Rodotà ha puntato l´indice contro la tendenza in atto di considerare le informazioni derivanti dai test genetici, la cui attitudine predittiva è assai variabile, come dati socialmente certi, tali da poter trasformare la dimensione clinica di eventuali patologie in dimensione sociale, attraverso discriminazioni ed abusi operati sulla base della conoscenza delle informazioni genetiche.

Inoltre, il diffondersi dei test genetici pone nuovi problemi e fa emergere possibili conflitti tra diritto alla salute e diritto alla privacy ed è per questo che occorre pervenire ad un bilanciamento dei due interessi.

Dietro il boom dei test genetici e la crescita esponenziale di questo tipo di analisi c´è la forte pressione di interessi commerciali da parte del mercato, ha ricordato Rodotà, e occorre sviluppare una forte consapevolezza sociale per non cadere in quella che è stata definita la "genomizzazione della medicina" il cui più inquietante esempio è offerto dai siti statunitensi che, saltando completamente l´intermediazione di medici e specialisti, offrono test e kit fai-da-te a buon mercato.

Rodotà ha indicato un piano di azioni concrete ed immediate da intraprendere entro sei mesi. Ecco il piano in 7 punti:

  1. ratifica da parte dell´Italia della Convenzione di Oviedo del 1997 sui diritti dell´uomo e la biomedicina;
  2. modifica dell´articolo della Direttiva Europea sulle biotecnologie che prevede surrettiziamente la brevettibilità del genoma;
  3. emanazione entro il 1 ottobre da parte del Garante per la protezione dei dati personali della prevista autorizzazione generale sui dati genetici;
  4. avvio dei controlli sui laboratori di analisi e istituzione, sulla scorta di quanto già fatto in altri Paesi, di un comitato ministeriale per i test genetici: in Italia sono attivi ben 96 laboratori di analisi genetica contro i 234 di tutti gli altri Paesi dell´Unione Europea messi insieme;
  5. promozione di piani di formazione per gli operatori e valorizzazione della figura del consulente genetista prevedendo la sua controfirma nel consenso informato oggi troppo spesso ridotto a mero adempimento burocratico;
  6. individuazione di regole per i ricercatori: il Garante in questo senso si impegnerà a far conoscere meglio le norme che già esistono sull´uso dei dati genetici;
  7. blocco del commercio internazionale di informazioni genetiche. Ci sono siti americani che offrono test genetici che dichiarano un loro corrispondete in Italia e Rodotà ha affermato che deve essere valutata la legittimità della raccolta dei dati operata da questi siti in Italia. Il presidente del Garante ha ricordato, infatti, che la legge italiana sulla privacy prevede che le informazioni vengano trasferite solo in Paesi che assicurino un adeguato livello di protezione e che i dati genetici non fanno parte dell´accordo tra USA e UE denominato "safe harbour". In ogni caso i principi del "safe harbour" esigono che la raccolta di dati in Europa da parte di soggetti americani rispetti le regole vigenti nei Paesi dell´Unione.

A proposito dell´accordo tra USA e UE, Rodotà ha fatto sapere che entro luglio esso verrà firmato, ma che il Comitato dei Garanti europei sta già lavorando per regolamentare il trattamento dei dati esclusi dal "safe harbour" attraverso la definizione di contratti tipo sottoscritti dalle imprese americane.

Rodotà ha, infine, annunciato che il Garante ha già avviato alcune prime verifiche sulle ricerche che si stanno svolgendo in Sardegna per accertare, con particolare attenzione, il rispetto dei diritti delle persone coinvolte e scongiurare rischi di commercializzazione dei loro dati.

 

USA. In vendita i dati di un´importante ricerca cardiologica
(da The Boston Globe On Line del 16 giugno)

I dati relativi ai pazienti inseriti nel famosissimo Framingham Heart Study – una pionieristica ricerca sugli attacchi cardiaci e le patologie infartuali disponibile gratuitamente da 50 anni – saranno messi per la prima volta in vendita a scopi commerciali da una nuova società di affari creata dallo sponsor dello studio, l´Università di Boston. L´Università ha concluso un accordo con un gruppo di capitalisti d´affari che hanno investito 21 miliardi di dollari nella creazione della Framingham Genomic Medicine S.p.A. La società utilizzerà l´ampia gamma di dati genetici, clinici e comportamentali relativi ai 10.000 partecipanti allo studio, tutti provenienti da Framingham, per creare un enorme database elettronico; le società farmaceutiche e di biotecnologia dovranno pagare una tassa annuale per poter accedere a questa miniera di dati sanitari.

L´Università (che detiene il 20% della nuova società) ha dichiarato che i ricercatori di tutto il mondo potranno ancora accedere gratuitamente ai dati dello studio, e che la privacy dei pazienti sarà tutelata. Tuttavia, il National Heart, Lung and Blood Institute [Istituto nazionale per gli studi cardiopolmonari ed ematici], l´ente governativo che ha finanziato gran parte dello studio, ha dichiarato che le tutele sinora previste non sono adeguate, e che entro il mese invierà a Boston il direttore per cercare di negoziare un accordo con l´università e la sua filiale commerciale.

Non si tratta di un caso senza precedenti: è prassi comune per le società farmaceutiche in corsa per la messa a punto dei farmaci e degli esami diagnostici del futuro, basati sull´indagine genetica, comprare basi di dati relativi a pazienti da ospedali, compagnie di assicurazione e catene di farmacie. E l´idea di realizzare un database genetico onnicomprensivo è stata lanciata dalla DeCode Genetics, che detiene i diritti sulle informazioni genetiche, sanitarie e genealogiche dei 270.000 abitanti dell´Islanda.

Tuttavia, la Framingham Genomic sarebbe la prima società statunitense a poter accedere in misura così ampia ad una popolazione di pazienti numerosa e che copre più generazioni.

E´ un´iniziativa destinata a riaccendere la discussione sulla possibilità per soggetti privati di ottenere profitti utilizzando dati raccolti attraverso finanziamenti statali – un tema che è balzato all´onore delle cronache internazionali lo scorso marzo, quando il presidente Clinton ed il primo ministro inglese Tony Blair hanno rilasciato una dichiarazione in cui si affermava che tutti i dati grezzi relativi al progetto "Genoma umano", che si basa su finanziamenti pubblici, sarebbero stati resi presto di pubblico dominio. Questa dichiarazione giunse come una mazzata per le quotazioni di borsa delle imprese che operano nel settore della biotecnologia, venendo interpretata erroneamente dai mercati come un segno dell´intenzione dei due governi di opporsi alla brevettabilità di dati relativi al genoma umano."In tutto il mondo c´è un solo studio Framingham", ha dichiarato Claude Lenfant, direttore dell´istituto che ha finanziato lo studio cardiologico con oltre 40 milioni di dollari. "Si potrebbe interpretare il messaggio nel senso che solo loro avranno accesso ai dati. Una cosa del genere non potremmo mai accettarla. Questi dati sono stati ottenuti con denaro pubblico. Perché mai dovremmo concedere l´accesso ad una sola persona o ad una sola impresa?"

Il portavoce della Boston University, David Lampe, ha dichiarato che l´università e la società stanno ancora concordando i particolari dell´accordo, ma che intendono realizzare appieno le potenzialità dei dati contenuti nello studio a vantaggio della collettività – e ciò è possibile solo attraverso fondi forniti da investitori privati.

Il Framingham Heart Study raccoglie da oltre 52 anni dati relativi a nuclei familiari che risiedono nella città omonima, situata ad ovest di Boston, ed ha accumulato un´enorme mole di informazioni: 500.000 Rx del torace ed ECG, 5000 analisi ematiche, e tonnellate di cartelle cliniche che comprendono regimi alimentari ed alcuni fra i primi studi sulla calvizie maschile. Lo studio comprende inoltre 160 database informatici.

I dati sulle abitudini dei pazienti arruolati (ad es., fumo di sigaretta, consumo di carni rosse) sono disponibili pubblicamente, ma i ricercatori devono presentare un progetto specifico per poter accedere ai dati genetici ed a quelli relativi all´anamnesi familiare – fra cui campioni del DNA di 5.000 cittadini di Framingham. L´analisi delle abitudini di vita dei cittadini di Framingham ha permesso la pubblicazione di oltre 1000 studi, ed è all´origine stessa di alcuni concetti fondamentali come quello dei fattori di rischio cardiovascolare: ipercolesterolemia, fumo di sigaretta.

I ricercatori devono firmare un accordo di cessione che vieta loro di trasferire i dati a terzi per scopi di lucro, ed impone la restituzione allo studio dei dati "migliorati" o innovativi prodotti attraverso la ricerca. E´ questo il punto cruciale dei negoziati fra la Boston University e il National Heart, Lung and Blood Institute. Secondo Lampe, tutti i dati grezzi resteranno a disposizione dei ricercatori, come in passato, ma la società probabilmente intenderà conservare la proprietà di alcuni dei dati "nuovi" prodotti, come quelli derivanti dalla tipizzazione genica – ossia, la ricerca di variazioni nel DNA dei pazienti arruolati che potrebbero essere alla base di singole patologie o della diversa risposta ai farmaci.

"La società dovrà impegnare 20 milioni di dollari per condurre analisi del genere, per cui è naturale che desideri rimanerne proprietaria", ha affermato. "Si tratta comunque di un punto ancora da definire. E´ giusto che i dati tornino allo Stato? Il punto è capire chi è il proprietario e di che cosa."

La Framingham Genomic vorrebbe inoltre che la commissione di ricerca dello studio cardiologico approvi i progetti presentati da imprese più rapidamente di quanto abbia fatto sinora per quelli presentati da ricercatori, e che esenti le imprese dall´obbligo di fornire descrizioni particolareggiate di progetti concorrenti.Oltre alle preoccupazioni suscitate da queste proposte, Lenfant ha dichiarato che l´università chiede delle rigide garanzie a tutela della riservatezza dei pazienti, e assicurazioni sul fatto che i ricercatori della Boston University che abbiano interessi finanziari nella Framingham Genomic non parteciperanno al controllo dell´attività dell´impresa. Lampe ha dichiarato che nessun ricercatore rientra in tale casistica.La Boston University ha inviato una lettera di informazione ai 6000 pazienti ancora in vita arruolati nello studio, e solo due persone avrebbero chiesto di escludere le proprie cartelle cliniche dal database della società.Lenfant ha dichiarato che i legali del National Heart, Lung and Blood Institute stanno esaminando i termini dell´accordo dell´ente con la Boston University, per capire chi sia il proprietario dei singoli dati contenuti nello studio. Per capire a chi spetti la proprietà occorre esaminare le modalità di finanziamento dei singoli contratti di ricerca (che possono prevedere condizioni più o meno ampie). Lenfant ha affermato che l´Istituto potrebbe cercare di impedire l´accordo se i negoziati con la Boston University dovessero fallire, ma di non ritenere che sarà necessario giungere a misure così drastiche. "Tutto ciò che può ridurre i tempi dei benefici medici per i pazienti mi trova assolutamente favorevole. Sono già troppe le ricerche che finiscono sugli scaffali delle biblioteche", ha dichiarato.

La diffusione dei primi dati relativi al genoma umano, comprendenti il mappaggio di oltre 100.000 geni, è ormai prossima ed il responsabile scientifico della Framingham Genomics, il dr. Fred Ledley, ritiene che il database dello studio cardiologico diverrà una fonte essenziale per gli studi dei ricercatori farmaceutici che mirano a individuare il legame fra singoli geni e stati patologici. "Siamo davvero entusiasti di queste nuove risorse, perché oggi possiamo utilizzare i dati dello studio per approfondire le ricerche in nuovi settori, come la demenza (ad esempio, in che modo l´ipertensione comprometta le funzioni cognitive), e in più possiamo accedere a tutti i dati in possesso della società", ha dichiarato il dr. Philip A. Wolf, primo ricercatore del Framingham Heart Study e professore di neurologia alla Boston University School of Medicine.

Ledley ha dichiarato che azioni della Framingham Genomic saranno inserite in un fondo fiduciario a beneficio della città di Framingham. La società inoltre finanzierà un comitato di consulenza in materia di etica e attività di istruzione scientifica nelle scuole della cittadina.

Jim Fair, 54 anni, insegnante presso le scuole medie di Millis e paziente di seconda generazione dello studio (il padre, defunto, e la madre sono stati fra i primi partecipanti al Framingham Heart Study) dice di non essere contrario all´accordo. "Se il Framingham Heart Study trova una nuova fonte di finanziamento e continua a tutelare la nostra privacy, per me va benissimo, perché le informazioni ricavate dallo studio hanno aiutato la mia famiglia".

Ledley ha sentito anche il parere di George J. Annas, studioso di etica sanitaria e presidente dell´Health Law Department della Boston University´s School of Public Health. "Ci sono ancora alcuni punti da definire fra la Boston University, lo studio e la società, ma Fred Ledley è consapevole della necessità di affrontare questioni di natura etica prima di dare corso al progetto", ha affermato Annas.

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Doc-Web
46320
Data
26/06/00

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