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"La vittima di revenge porn non ha fatto nulla di male, ecco cosa fare" - Intervista a Guido Scorza

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“La vittima di revenge porn non ha fatto nulla di male, ecco cosa fare”
Intervento a Guido Scorza, Componente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Giusy D'Elia, www.ondanews.it, 14 marzo 2021)

Con il termine revenge porn si intende la diffusione di immagini pornografiche o sessualmente esplicite a scopo vendicativo e la diffusione delle immagini senza il consenso della persona interessata (anche le eventuali altre persone che diffondono il materiale ricevuto). Il termine sexting, invece, indica lo scambio di messaggi sessualmente espliciti e possono contenere foto, video o messaggi audio a sfondo sessuale ma ovviamente se entrambe le parti sono consenzienti non c’è nulla di male.Il problema quindi si viene a creare quando una delle persone coinvolte non è più consenziente e quando si perde il controllo delle immagini prodotte. Cosa può fare dunque chi è vittima di revenge porn? A chi si può rivolgere? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Guido Scorza, Componente del Garante per la protezione dei dati personali.

Avvocato, partiamo subito dal messaggio più importante: una vittima può uscire dall’incubo del revenge porn?

Può provare ad uscire. Dobbiamo essere molto onesti: una volta che un’immagine o un video sono fissati su un supporto digitale e se ne perde il controllo per una qualsiasi ragione, purtroppo non c’è regola, non c’è legge, non c’è Autorità al mondo che possa garantire il fatto che quel video potrà essere di nuovo riportato nella sfera intima e privata alla quale era destinato. Si può fare tanto ormai nel senso che molte delle piattaforme normalmente utilizzate per la diffusione di questo genere di contenuti dispongono di soluzioni tecnologiche che consentono con un margine di errore diverso e con un’approssimazione diversa di identificare il contenuto, a condizione di disporre della copia della versione originale di quel video. Ciò consente di identificarlo, di rimuoverlo da dov’è pubblicato e in alcuni casi, come Facebook e Instagram, di impedirne la ripubblicazione o la pubblicazione la prima volta. Questo dall’8 marzo è possibile anche nell’ambito di un accordo in essere tra il Garante della Privacy, Facebook e Instagram.In sostanza, si può fare sicuramente molto per limitare la circolazione di un contenuto di revenge porn ma non si può, in maniera onesta, garantire a nessuno che anche se si denuncia e si interviene tempestivamente si può bloccare del tutto o rimuovere dappertutto quel contenuto e fare in modo che mai più venga pubblicato, lì probabilmente non ci siamo arrivati.

Appena una persona si rende conto che le proprie immagini sessualmente esplicite o pornografiche sono state diffuse senza il proprio consenso a chi si deve rivolgere?

All’origine c’è il fatto che ci si imbatte da soli in quel video o fotografia su un social network o su un’altra piattaforma online oppure che l’amico o l’amica ti mandano il messaggio con un link al contenuto in questione dicendo “Abbiamo visto questa cosa, ci sembra strana” o cose di questo genere. Quindi il primo intervento in maniera autonoma è questo: segnalare, prendere il link che contraddistingue il contenuto e comunicarlo al gestore della piattaforma. Più o meno tutte le piattaforme hanno da qualche parte un indirizzo e-mail per contattare il gestore e quindi si può scrivere “Ho trovato questo contenuto, il soggetto sono io, non ho mai prestato il mio consenso, vi chiedo di rimuoverlo e di bloccare l’ulteriore pubblicazione di quel contenuto che è pubblicato a questo indirizzo qui” e ci si incolla il link. Un istante dopo direi di dedicare un po’ di tempo per vedere, incrociando parametri diversi, se per caso quel contenuto non venga fuori anche su altre piattaforme, normalmente girano sui social network o sui siti pornografici, è un universo vasto. Sicuramente consiglio di scrivere al Garante per la protezione dei propri dati personali perché ovviamente dentro la nostra immagine ci sono dati personali e chi pubblica senza consenso un’immagine che ci riguarda, tanto più se di contenuto esplicito, sta violando la nostra privacy, quindi c’è una competenza del Garante per la Privacy e sicuramente c’è una competenza diffusa della Polizia Postale, che è dunque un altro possibile interlocutore. Ovviamente il numero dei soggetti che si possono coinvolgere, pubblici e privati, può aumentare esponenzialmente perché ad esempio si può fare anche una denuncia in Procura e ci si può rivolgere alle associazioni del proprio territorio che operano nel settore.

Anche i minorenni possono seguire le stesse procedure?

In generale anche se un minorenne si imbatte nella sua foto o nel suo video su una qualsiasi piattaforma, le strade percorribili sono sempre le stesse. L’importante è fare la prima segnalazione in un modo qualsiasi il prima possibile perché il tempo in queste vicende è un fattore non irrilevante, poi al limite qualsiasi questione di forma la si rimanda in un momento successivo.

E’ importante coinvolgere subito i propri genitori?

Sicuramente si fa un po’ più fatica a parlarne a casa piuttosto che fuori, molto spesso è così. Siccome purtroppo, salvo circostanze particolarmente fortunate, non si parla di vicende che si esauriscono nello spazio di un pomeriggio, di una serata o di un giorno ma sono vicende che hanno strascichi più o meno lunghi, mi sembra davvero difficile, soprattutto per un minore, riuscire ad affrontare senza un confronto in famiglia. Quindi sì, è importante parlarne e chiedere supporto ai propri genitori con la consapevolezza del fatto che non si è dalla parte del torto.

E’ sbagliato condividere con il proprio partner foto, video o messaggi audio a sfondo sessuale?

Non è assolutamente sbagliato, il sesso è una cosa naturale, si commetterebbe l’errore che purtroppo spesso le donne fanno negli episodi di violenza sessuale fisica nel pensare “Ho sbagliato qualcosa io, mi sono posta male o vestita in maniera troppo provocante” e naturalmente non è vero. Ha sbagliato chi ha rotto quel patto di segretezza che c’era dietro alla registrazione di quel video o dietro alla condivisione di quel video, è lì che sta l’errore. Altrimenti poi si innesta un meccanismo per il quale per paura di sentirsi dire che si è commesso un errore, non si denuncia oppure si prova a tenersi dentro tutto e a ritardare il più possibile e questo favorisce la diffusione di quel contenuto fino a un punto di non ritorno.Per quanto riguarda poi il sexting, che normalmente è l’anticamera, per fortuna non necessaria, del revenge porn, i numeri raccontano di una pratica ormai assolutamente ordinaria. La pandemia ha aumentato esponenzialmente il numero di adolescenti ed adulti che hanno praticato sexting, stiamo parlando di oltre la metà della popolazione sessualmente attiva nel mondo. Per gli adolescenti direi che appartiene al percorso più o meno naturale di scoperta della sessualità. La cosa più importante per l’adolescente, così come per l’adulto, soprattutto per la donna, è porsi nella condizione mentale di non pensare neppure per un istante che si è sbagliato. Non è sbagliato l’aver mandato quella foto o quel video o l’aver accettato che il proprio compagno, fidanzato o marito girasse quel video. Questo per gli adolescenti è scoperta del sesso e per gli adulti è esercizio della libertà sessuale, quindi guai a sentirsi in colpa per questo.

E’ di pochi giorni fa la notizia di un 17enne che, per gelosia, ha tappezzato le strade di un paese della provincia di Salerno con foto intime dell’ex fidanzatina di soli 13 anni. Sono aumentati i casi che riguardano minorenni?

E’ aumentato il numero delle persone che in età più giovane scopre il sesso e quindi naturalmente aumenta il numero di persone sempre più giovani che possono cadere vittime di revenge porn. Ovviamente il contesto fa il resto e la pandemia ci mette il carico da novanta. L’episodio in questione credo che racconti bene quanto il problema non sia solo internet: il problema è l’educazione non solo al rispetto della donna ma più in generale al rispetto delle persone e anche agli effetti e alle conseguenze dei gesti. Ovviamente non so nient’altro se non quello che ho letto sui giornali di questa vicenda però è difficile pensare che il lui di turno abbia misurato fino in fondo le conseguenze di quel gesto. Probabilmente l’impeto di gelosia e certamente l’averci in tasca sullo smartphone quella foto rappresenta una tentazione pensando “Ti distruggo” ma quanto l’avrebbe distrutta facendo così forse non l’ha capito nemmeno lui perché non è immediato rendersi conto che pubblicare la foto o il video di una donna su un manifesto o su un social significa presumibilmente condannare quella donna a lasciare quel paese o a fare un sacco di fatica a rimanerci. Quello che adesso accadrà, infatti, è che ogni volta che la ragazzina andrà da qualche parte in quel paese si sentirà addosso, che sia reale o percepito, un giudizio severissimo. La domanda dei più in una società che ancora resta sostanzialmente bigotta, almeno in percentuali ampissime della popolazione, sarà un giudizio di valore su di lei che si è fatta il video e non sarà un giudizio di valore su di lui che ha pubblicato i manifesti. La comunità di quel paese dovrebbe in realtà spingersi in un meraviglioso abbraccio intorno alla 13enne ed identificarla come vittima, temo invece che non sarà così.

Le istituzioni ci sono?

Si, bisogna immaginarsi come un sistema integrato di protezione in cui ognuno fa la propria parte nel senso che le istituzioni difficilmente possono essere di supporto e di sostegno nel quotidiano per superare quel momento (per cose di questo genere c’è la famiglia, la scuola, soprattutto per i più giovani, o l’amica/amico). Ecco perché bisogna immaginare una pluralità di soggetti con ruoli diversi che devono e possono prendersi cura della vittima per restituirle il più presto possibile la normalità che questi gesti fanno apparire irraggiungibile.