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Parere sullo schema di decreto legislativo di attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari - 1 settembre 2022 [9802612]

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[doc. web n. 9802612]

Parere sullo schema di decreto legislativo di attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari - 1 settembre 2022

Registro dei provvedimenti
n. 292 del 1 settembre 2022

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

Nella riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stanzione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vice presidente, l’avv. Guido Scorza e il dott. Agostino Ghiglia, componenti e il cons. Fabio Mattei, segretario generale;

Vista la richiesta di parere della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visto il Regolamento (UE) 2016/679, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati, di seguito: “Regolamento”) e, in particolare, l’articolo 36, paragrafo 4;

Visto il decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, recante attuazione della direttiva (UE) 2016/680 relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento dei reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e, in particolare, l’articolo 24, comma 2;

Visto il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale al regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (decreto legislativo n. 196 del 2003, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, di seguito: “Codice”) e, in particolare, l’articolo 154, comma 5;

Vista la documentazione in atti;

Viste le osservazioni del segretario generale, rese ai sensi dell’articolo 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

Relatore il prof. Pasquale Stanzione;

PREMESSO

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha richiesto il parere del Garante su di uno schema di decreto legislativo di attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.

Il decreto legislativo propone una riforma ampia e organica del processo penale, del sistema sanzionatorio e dell’ordinamento penitenziario.

Talune disposizioni rivestono particolare interesse in termini di protezione dati, in ragione della proposta digitalizzazione di alcuni adempimenti procedimentali o, comunque, di specifici trattamenti di dati personali correlati alle attività disciplinate dallo schema di decreto.

Le norme d’interesse sono di seguito descritte con riferimento a tre direttrici essenziali: il processo penale telematico, la giustizia riparativa e la specifica ipotesi di deindicizzazione (preventiva o successiva) riservata ad imputati e persone sottoposte alle indagini.

A questi tre temi sono, infatti, riconducibili complessivamente le varie disposizioni meritevoli di particolare considerazione sotto il profilo della protezione dei dati personali.

RILEVATO

Tra gli obiettivi trasversali perseguiti dal decreto legislativo vi è quello della digitalizzazione della giustizia penale e dello sviluppo del processo penale telematico, in conformità al criterio di delega di cui al comma 5 dell’art. 1 della legge n. 134 del 2021.

In questa prospettiva, le novelle apportate, in particolare al Libro secondo del codice di rito penale, introducono significative innovazioni in tema di formazione, deposito, notificazione e comunicazione degli atti e in materia di registrazioni audiovisive e partecipazione a distanza ad alcuni atti del procedimento o all’udienza.

Dal punto di vista rilevante per questa Autorità, le disposizioni proposte non necessitano generalmente (e salvo quanto si osserverà in seguito) di modifiche, incidendo esse su di un contesto cui già si applica, per espresso disposto del d.lgs. n. 51 del 2018, la disciplina di protezione dati con garanzie peculiari, oltretutto, per il trattamento dei dati contenuti in atti giudiziari (cfr., in particolare, art. 14 d.lgs. 51).

Lo schema di decreto, peraltro, non incide sulle (ma, anzi, presuppone le) garanzie di cui al d.M. n. 44 del 2011, recante “Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2 del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24”, sul cui schema il Garante ha reso parere  il 15 luglio 2010 (e il 21 dicembre 2011 relativamente alle novelle successive).

Rispetto ad alcune disposizioni dello schema di decreto si propongono, tuttavia, puntuali integrazioni, di seguito esposte, volte ad elevare il livello delle garanzie del diritto alla protezione dei dati personali trattati nel contesto del procedimento penale.

RITENUTO

a. Il processo penale telematico

In primo luogo, il novellato art. 110 c.p.p. individua, quale modalità generale di formazione di ogni atto del procedimento penale, quella digitale, con garanzia espressa di autenticità, integrità, leggibilità, reperibilità, interoperabilità e, ove previsto dalla legge, segretezza. La conservazione degli atti – cui pure si riferisce la norma – dovrà peraltro conformarsi alle disposizioni applicabili del d.lgs. 51 del 2018, che pare tuttavia preferibile richiamare espressamente, con riferimento più generale, rispetto alla disciplina della tenuta del fascicolo informatico.

In tal senso rileva in particolare, quale norma di carattere sistematico, l’articolo 111-ter c.p.p. (art. 6, c. 1, lett. c), dello schema di decreto), che rispetto alla gestione dei fascicoli informatici, dispone che essi siano formati, conservati, aggiornati e trasmessi in modalità digitale, tale da assicurarne l’autenticità, l’integrità, l’accessibilità, la leggibilità, l’interoperabilità, nonché un’efficace e agevole consultazione telematica (con la maggiore effettività, che ne consegue, del diritto di difesa).

Al fine di introdurre, espressamente, un opportuno coordinamento normativo con la disciplina di protezione dati, al comma 1 si valuti di aggiungere, in fine, le seguenti parole: “, comunque in osservanza della disciplina di protezione dei dati personali”.

Perno della disciplina delle notificazioni è il domicilio digitale, idoneo ai fini della notifica nella misura in cui soddisfi la previsione dell’articolo 16-ter del d.l. n. 179 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 221 del 2012: norma primaria interdisciplinare e di sistema, che a tali scopi legittima i soli domicili censiti in pubblici elenchi, previsti dal CAD. Pertanto, lo schema di decreto (nel rispetto del diritto alla conoscenza del processo da parte dell’imputato), prevede:

- come regola generale la notificazione per via telematica, ove il destinatario sia titolare di un “domicilio digitale” inteso nei termini sopra riferiti (in tal senso si veda la disposizione generale di cui all’art. 148 c.p.p.);

- la notifica presso un indirizzo di posta elettronica certificata solo nell’ipotesi in cui il destinatario abbia dichiarato tale domicilio telematico (in tal senso si veda la disposizione di cui all’art. 161 c.p.p.);

- che, ai soli fini del rintraccio o delle comunicazioni di cortesia, il destinatario possa fornire anche un semplice indirizzo di posta elettronica, non certificato (cfr. art. 41 dello schema che nell’apportare modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, introduce l’articolo 63-bis, sulle “comunicazioni di cortesia”)

In ordine alla disciplina transitoria, l’articolo 87, comma 1, dello schema di decreto demanda a un regolamento ministeriale la definizione delle regole tecniche riguardanti i depositi, le comunicazioni e le notificazioni telematiche degli atti del procedimento penale, anche modificando, ove necessario, il regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44 e, in ogni caso, assicurando la conformità al principio di idoneità del mezzo e a quello della certezza del compimento dell’atto. Sul punto, è opportuno prevedere l’acquisizione del parere del Garante sullo schema di regolamento, al fine di conformarne pienamente il contenuto alla disciplina di protezione dati. Inoltre, lo stesso oggetto del regolamento potrebbe essere utilmente ampliato, includendo alcuni aspetti meritevoli d’integrazione normativa, quali le modalità di formazione e conservazione del fascicolo informatico e di gestione degli atti e dei documenti formati in origine su supporto analogico, dopo l’effettuazione della relativa copia informatica (art. 111-ter, c.4, c.p.p.), nonché la tipologia di strumenti tecnologici (es. piattaforme informatiche) da utilizzare, in particolare, ai fini delle registrazioni audiovisive e della partecipazione a distanza agli atti del procedimento o all’udienza e le misure tecniche e organizzative idonee a garantire un livello di sicurezza adeguato ai rischi connessi a tali trattamenti. In particolare, tali misure dovranno poter garantire l’integrità e la riservatezza dei dati personali trattati – riducendo al minimo i rischi di accesso non autorizzato e di trattamento non consentito–  e garantire che siano trattati, per impostazione predefinita, i soli dati personali necessari per il perseguimento della specifica finalità del trattamento, anche tenendo conto del fatto che il ricorso a soluzioni di tipo cloud potrebbe comportare il trasferimento di dati personali verso Paesi terzi (cfr., in particolare, artt. 3, c. 1, lett. c) e f), 15, 16, 25 e 31 ss. d.lgs.  51 del 2018).

Le disposizioni di cui all’articolo 8, co.1, dello schema di decreto, volte a disciplinare la partecipazione a distanza alle udienze o alla formazione degli atti, individuano una casistica ampia, valorizzando la ratio del criterio di delega («semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo penale»: art. 1, co. 1, l. 134) e la previsione del consenso delle parti per l’introduzione di nuove ipotesi di partecipazione ad atti e udienze da remoto, ferma restando la garanzia, costituzionalmente necessaria, dell’idoneità del mezzo a consentire la “effettiva partecipazione personale e consapevole dell’imputato al dibattimento» (Corte cost., sentenza n. 342 del 1999).

Circa le modalità e garanzie della partecipazione a distanza, l’articolo 133-ter novellato recepisce le regole procedurali già previste dagli articoli 146-bis e 147-bis disp. att. c.p.p., dedicati - rispettivamente - alla partecipazione al dibattimento a distanza e all’esame degli operatori sotto copertura, delle persone che collaborano con la giustizia e degli imputati di reato connesso.

Per consentire la partecipazione da remoto all’udienza o al compimento di un atto, si dispone che il collegamento audiovisivo debba essere «attuato, a pena di nullità, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti all’atto o all’udienza e ad assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti nei diversi luoghi e la possibilità per ciascuna di essa di udire quanto viene detto dalle altre», che «[n]ei casi di udienza pubblica [sia] assicurata un’adeguata pubblicità degli atti compiuti a distanza» e, infine, che «[d]ell’atto o dell’udienza [sia] sempre disposta la registrazione audiovisiva» (commi 2 e 3).

I parametri di realizzazione della partecipazione da remoto al compimento dell’atto o allo svolgimento dell’udienza -correttamente delineati rispetto alle garanzie processuali- potrebbero essere utilmente integrati sotto il profilo della protezione dati. In particolare, si dovrebbe prescrivere (se del caso con rinvio a fonte secondaria) la necessaria sicurezza e affidabilità, sotto il profilo telematico, del collegamento, sia pur senza prevedere, in caso di violazione, una nuova ipotesi di nullità che mal si concilierebbe con la tassonomia, delineata dal codice di rito, delle patologie degli atti (sull’autonomia della disciplina processuale della patologia degli atti, rilevante in termini di protezione dati, cfr. art. 160-bis del Codice).

Rilevanti sono anche le disposizioni sulla fono - e videoregistrazione di alcuni atti, prevista con diversa gradualità in ragione delle particolari esigenze di documentazione di ciascuno. Ai sensi del novellato articolo 134 c.p.p. (cfr. art. 9, c. 1, lett. a) dello schema), la registrazione audio e quella video sono qualificate come forme ordinarie di documentazione, ulteriori rispetto a quelle già previste. In particolare, la videoregistrazione (quale forma di documentazione tale da garantire il massimo livello di completezza) è prevista per le prove dichiarative e per gli interrogatori da tenersi fuori dall’udienza (dunque senza compresenza delle parti in contraddittorio), salva l’indisponibilità dei mezzi necessari. L’adempimento di livello intermedio (audioregistrazione) è previsto per le sommarie informazioni e per le dichiarazioni, prive di valenza difensiva, che si svolgano nella fase delle indagini preliminari per taluni specifici procedimenti. In casi caratterizzati da particolare fragilità del dichiarante (persona esaminata di età minore, inferma di mente o in condizioni di particolare vulnerabilità) o da circostanze peculiari (sommarie informazioni al pubblico ministero o al professionista, in sede di investigazioni difensive), la riproduzione audiovisiva o fonografica (la prima delle quali consente di documentare anche i tratti non verbali della comunicazione) è prevista a pena di inutilizzabilità dell’atto.

In ordine alla videoregistrazione della prova dichiarativa, il novellato articolo 510 c.p.p. (e l’articolo 94 del decreto per la disciplina transitoria) prevede, peraltro, la necessità della registrazione audiovisiva per tutti gli atti processuali destinati a raccogliere le dichiarazioni di persone che possono o devono riferire sui fatti.

La disciplina delle notificazioni è, parimenti, oggetto di significative modifiche. Il novellato articolato 148 c.p.p. sancisce peraltro, quale regola generale- come anticipato- quella della notifica con modalità telematiche, mentre l’articolo 152 c.p.p. dispone principio analogo per le notifiche effettuate dal difensore. Particolare rilievo assume la disciplina, di cui all’articolo 155 c.p.p., delle notificazioni per pubblici annunzi alle persone offese (cfr. art. 10, c.1, lett. a) c) e g) dello schema di decreto).

Tale ultima novella introduce, in particolare, la possibilità di ricorrere, per la notificazione mediante pubblici annunci, alla pubblicazione dell’atto sul sito internet del Ministero della Giustizia, in ragione dell’idoneità (si legge in Relazione) di tale forma di pubblicità a garantire l’effettiva conoscenza dell’atto e dell’analogia con quanto previsto per la pubblicità dei provvedimenti giurisdizionali. Sul punto, va tuttavia osservato come tale analogia sia in realtà solo parziale, dal momento che la pubblicità dei provvedimenti giurisdizionali (disciplinata peraltro compiutamente dall’articolo 52 del Codice) riguarda l’atto conclusivo del procedimento e persegue finalità (essenzialmente di conoscenza del pubblico circa l’esercizio della funzione giurisdizionale, anche ai fini di cui all’articolo 101 Cost.) diverse da quelle sottese al ricorso ai pubblici annunzi per le notificazioni di atti alla persona offesa. Va, del resto, considerato che la pubblicità assicurata dalla diffusione di contenuti su internet non ha le stesse implicazioni della pubblicazione tradizionale in forma cartacea, ben più contenuta in termini temporali e di possibile ambito divulgativo. Tali considerazioni inducono, dunque, a suggerire di integrare la previsione disponendo (se del caso con rinvio a fonte secondaria) il termine massimo di pubblicazione dell’atto (suscettibile di contenere anche dati appartenenti alle categorie di cui all’articolo 10 del Regolamento, soggetti come tali a una tutela rafforzata) in conformità al canone di proporzionalità e la sottrazione all’indicizzazione da parte dei motori di ricerca. Quest’ultima rappresenta, infatti, una implicazione ulteriore del regime telematico di pubblicità, estranea a quelle proprie della pubblicazione tradizionale mediante annunci.

Le novelle all’articolo 161 c.p.p., invece, come già detto, legittimano l’imputato a dichiarare, ai fini delle notificazioni, anche un proprio indirizzo di posta elettronica certificata, purché si tratti di domicilio di cui l’imputato ha l’esclusiva disponibilità (art. 10, c. 1, lett. o) e 98, co. 1, lett. a) dello schema di decreto).

Rilevante anche la novella dell’articolo 171 c.p.p., che coerentemente con la previsione della modalità telematica quale modalità principale e generalizzata di esecuzione delle notificazioni, introduce una specifica causa di nullità rispetto all’ipotesi in cui il mezzo adottato non possieda i requisiti tecnici indicati all’art. 148, comma 1, idonei ad assicurare certezza anche temporale dell’avvenuta trasmissione e ricezione, dell’identità del mittente e del destinatario, nonché dell’integrità dell’atto. La causa di nullità prevista dalla lettera b) del comma 1 della disposizione è conseguentemente modificata per comprendere anche il caso in cui l’incertezza assoluta attenga all’identità della parte privata mittente.

In ordine alla neutralizzazione degli effetti extrapenali in malam partem, il nuovo articolo 335-bis c.p.p. circoscrive, all’ambito del procedimento penale, la rilevanza della valutazione compiuta dal Pubblico ministero al momento dell’iscrizione della persona sottoposta a indagini nel registro di cui all’articolo 335 del codice di rito (cfr. art. 15 dello schema di decreto).

Rilevante anche la novella dell’articolo 181-bis disp. att. c.p.p., il cui primo comma dispone che le modalità di pagamento delle pene pecuniarie applicate dal giudice con la sentenza o con il decreto di condanna devono essere indicate dal Pubblico Ministero, anche in via alternativa, nell’ordine di esecuzione di cui all’art. 660 c.p.p., comprendendo in ogni caso il pagamento attraverso un modello precompilato, allegato all’ordine di esecuzione (cfr. art. 41, lett. ff) dello schema di decreto).

Il secondo comma dell’articolo demanda a un decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi per la prima volta entro novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo, l’individuazione e il periodico aggiornamento delle modalità tecniche di pagamento, anche per via telematica (la Relazione illustrativa cita, in via esemplificativa, il canale di PagoPA). In ragione delle implicazioni, in termini di protezione dati, suscettibili di derivare da queste soluzioni, è opportuno che sullo schema di decreto sia acquisito il parere del Garante.

b. Giustizia riparativa

Incisivo ed ampio è l’intervento riformatore operato rispetto alla giustizia riparativa dagli articoli 42 e seguenti dello schema di decreto legislativo. Tra i parametri cui la realizzazione di questa peculiare forma di giustizia deve conformarsi vi è, in particolare, la riservatezza sulle dichiarazioni e sulle attività svolte nel corso dei programmi di giustizia riparativa (art. 43, c.1, lett. e) dello schema di decreto), concepiti come spazi di dialogo libero e quindi necessariamente protetto, appunto, da confidenzialità (prospettiva sottesa anche all’art. 12, lett. e), direttiva 2012/29/UE, nonché alla regola 49 della Raccomandazione CoE 8(2018)8; cfr. anche, dello schema di decreto, gli articoli 50, 51, 52, in materia di dovere di riservatezza, inutilizzabilità delle dichiarazioni e tutela del segreto).

L'articolo 48 dello schema di decreto disciplina poi le caratteristiche del consenso di ogni partecipante allo svolgimento del programma di giustizia riparativa, prescrivendone -con significativa analogia rispetto agli articoli 4, n. 11 e 7 del Regolamento -il carattere personale, libero, consapevole, informato, espresso in forma scritta e sempre revocabile, anche per facta concludentia. 

L’articolo 50 -dedicato al “dovere di riservatezza”- sancisce l’assoluta impermeabilità di quanto i mediatori e il personale dei Centri per la giustizia riparativa apprendano in relazione alle attività e agli atti compiuti, alle dichiarazioni rese dai partecipanti ed alle informazioni acquisite, per ragione o nel corso del programma stesso. Tale impermeabilità è vincibile, fermi i divieti di utilizzabilità, in presenza del consenso dei partecipanti alla rivelazione o di assoluta sua necessità per evitare la commissione di reati ovvero quando le dichiarazioni integrino di per sé estremi di reato, potendo tradursi in fattispecie quali quelle, ad esempio, di calunnia o di minaccia aggravata.

Al fine di evitare che la divulgazione delle dichiarazioni e delle informazioni acquisite nel corso del programma possa ripercuotersi negativamente sia sul programma stesso che sul procedimento penale, i partecipanti sono tenuti a non rendere pubbliche le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del programma di giustizia riparativa prima della sua conclusione e della definizione del procedimento penale con sentenza o decreto penale irrevocabili.

Dopo la conclusione del programma di giustizia riparativa e la definizione del procedimento penale con sentenza o decreto penale irrevocabili, la pubblicazione delle dichiarazioni e delle informazioni acquisite è invece ammessa con il consenso dell’interessato e nel rispetto della disciplina sulla protezione dei dati personali. Si legittima, pertanto, una (condizionata) proiezione dei contenuti delle dichiarazioni in una fase successiva alla conclusione dell’accertamento penale, nel rispetto del principio consensualistico e sempre con modalità tali da assicurare, oltre alla riservatezza dei colloqui, l’osservanza della normativa sulla protezione dati.

Tale regime regola la pubblicazione delle dichiarazioni e delle informazioni acquisite anche nei casi in cui il programma di giustizia riparativa non proceda parallelamente al procedimento penale (per i reati procedibili a querela, prima che essa sia proposta, nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza e dopo l’esecuzione di queste ultime).

Particolarmente rilevante, sotto il profilo degli obblighi di riservatezza del mediatore, è l’articolo 52 dello schema di decreto, che individua i dati conoscitivi coperti da segreto; le autorità dinanzi alle quali esso può essere opposto; i casi nei quali la tutela del segreto risulta recessiva rispetto alla prevenzione di reati imminenti o gravi, ovvero rispetto all’esigenza di accertamento dei reati integrati di per sé dalle dichiarazioni raccolte dal mediatore.

Vengono, inoltre, estese al mediatore -in quanto compatibili- le garanzie di cui all’articolo 200 c.p.p., con il relativo bilanciamento fra le esigenze di accertamento processuale e quella di tutela dell’esercizio di talune professioni, in quanto peraltro funzionali alla salvaguardia di determinati diritti fondamentali. Sul terreno della giustizia riparativa, tale soluzione valorizza l’esigenza di riservatezza del percorso riparativo, circoscrivendo, segnatamente, l’obbligo di esternazione del mediatore rispetto a quanto appreso.

L’articolo 55 dello schema di decreto legislativo introduce talune specifiche garanzie (anche di ordine spaziale) per lo svolgimento del percorso di giustizia riparativa, mentre l’articolo 57 disciplina la comunicazione all’autorità dell’esito dei programmi in modo che di esso possa tenersi conto -come prescritto dalla legge di delegazione- nell’ambito del procedimento penale e in fase di esecuzione della pena.

La relazione compilata dal mediatore deve contenere la descrizione essenziale dell’accordo di riparazione e del tipo di attività svolte senza riferire il contenuto del dialogo tra le parti, così da coniugare, da un lato, esigenze di confidenzialità e riservatezza delle dichiarazioni rese dai partecipanti e, dall’altro, la possibilità per il giudice di acquisire il risultato del percorso, nei termini dell’accordo consensualmente raggiunto.

Anche la mancata effettuazione del programma è comunicata all’autorità giudiziaria, pur non potendo essa utilizzare tale informazione in malam partem.

Il Capo V dello schema di decreto disciplina l’organizzazione amministrativa dei servizi di giustizia riparativa, definiti all’articolo 42, comma 1, lett. f), come “tutte le attività relative alla predisposizione, al coordinamento, alla gestione e all’erogazione di programmi di giustizia riparativa”.

Tale organizzazione sottende il coinvolgimento di diversi soggetti pubblici di ordine statale e locale, come prescritto dalla legge di delegazione, in un contesto in cui al Ministero della giustizia compete il coordinamento dei servizi di giustizia riparativa a livello statale.

L’articolo 64 dello schema di decreto disciplina le forme di gestione dei servizi per la giustizia riparativa, imponendo ai Centri per la giustizia riparativa l’affidamento dei programmi solo a mediatori esperti, secondo modelli diversi (oggi invalsi in varie forme): o con prestazione dei servizi mediante proprio personale, dotato della qualifica di mediatore esperto o con appalto del servizio a mediatori esperti esterni all’ente di riferimento, secondo quanto previsto dagli articoli 140 e ss. del d.lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici), ovvero ancora con affidamento del servizio a enti del terzo settore, nel rispetto delle procedure previste agli articoli 55 e 56 d.lgs. n. 117 del 2017 (Codice del terzo settore), valorizzando così il principio di sussidiarietà orizzontale ex articolo 118, comma IV, della Costituzione. Per l’ipotesi dell’appalto e dell’affidamento a enti del terzo settore, si dispone il contenuto necessario del contratto o della convenzione.

Particolarmente rilevante l’articolo 65 dello schema di decreto, che legittima i Centri per la giustizia riparativa, in qualità di titolari del trattamento, a trattare  i dati personali, anche appartenenti alle categorie di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento, strettamente necessari all’esercizio delle competenze e al raggiungimento degli scopi sanciti dal decreto, per le finalità di rilevante interesse pubblico di cui all’articolo 2-sexies, comma 2,  lett. q) del Codice (attività sanzionatorie e di tutela in sede amministrativa e giudiziaria), comunque nel rispetto del Regolamento stesso.

Si demanda a un decreto, di natura regolamentare, del Ministro della giustizia, da adottarsi sentito il Garante nel termine di un anno dall’entrata in vigore del decreto, la definizione delle tipologie dei dati suscettibili di trattamento, delle categorie di interessati, dei soggetti destinatari delle informazioni, delle operazioni di trattamento, nonché delle misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti degli interessati.

L’individuazione del Regolamento e non del d.lgs. 51 del 2018 quale plesso normativo cui ricondurre la disciplina del trattamento dei dati funzionale allo svolgimento dei servizi di giustizia riparativa appare corretta, nella misura in cui i Centri non possono ritenersi “autorità competenti” ai fini del decreto 51, anche in conformità al principio di sussidiarietà che regola i rapporti tra Regolamento e direttiva UE 2016/680.  L’applicabilità di quest’ultima (e conseguentemente, a livello interno, del d.lgs. 51 del 2018) presuppone, infatti, la sussistenza del duplice elemento soggettivo (svolgimento del trattamento da parte di autorità nazionali competenti nelle materie individuate) e teleologico-funzionale (perseguimento di fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia contro e la prevenzione di, minacce alla sicurezza pubblica).

La natura speciale della direttiva 680 ne determina, infatti, l’insuscettibilità di applicazione analogica o interpretazione estensiva (cfr., in particolare, Considerando 11 e 34). Pertanto, in un contesto complesso quale quello della giustizia riparativa, in cui converge l’azione di più soggetti di diversa natura, la disciplina del d.lgs. 51 del 2018 potrà applicarsi unicamente al segmento di trattamento di cui sia titolare l’autorità giudiziaria, recependo l’esito del percorso di giustizia riparativa.

Ai trattamenti che siano espressione di un’attività esoprocedimentale (benché di rilievo processuale) di cui siano (non meri responsabili esterni, ma) titolari altri soggetti, di natura pubblicistica quali appunto i Centri, concepiti come esercenti un’attività di pubblico interesse ma certamente estranei alla categoria delle “autorità competenti” di cui al d.lgs. 51 del 2018, non può dunque che applicarsi la disciplina di diritto comune, costituita dal Regolamento e dal Codice. A tali soggetti non competono infatti, neppur lato sensu, attività di accertamento, prevenzione o repressione dei reati od esecuzione di sanzioni penali, ma l’erogazione di un servizio volto a favorire, ai sensi dell’articolo 42, comma 1, lett. e), la “riparazione dell’offesa, (…) l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti” (categoria, quest’ultima, non limitata ai soli autore del reato e vittima).

Naturalmente, la concreta configurazione delle modalità di erogazione (in proprio o mediante esternalizzazione) del servizio di giustizia riparativa inciderà, secondo le regole di diritto comune, sulla definizione dei ruoli (e delle correlative responsabilità) in termini di protezione dati, ravvisando ad esempio nel soggetto esercente, in regime di esternalizzazione, il servizio in favore del Centro, il responsabile del trattamento.

Ulteriori garanzie in ordine alla concreta gestione del trattamento e del rapporto con l’autorità giudiziaria (cui deve essere riferito non il contenuto delle dichiarazioni ma l’esito del percorso) potranno, poi, essere fornite dal Garante in sede di parere sullo schema di regolamento attuativo.

c. Diritto all’oblio per l’imputato e la persona sottoposta alle indagini

L’articolo 64-ter disp. att. c.p.p. attua il criterio di delega di cui all’articolo 41, co.1, lett. h), della legge di delegazione, che vincola il legislatore delegato alla novella delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in materia di comunicazione della sentenza, prevedendo che il decreto di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione costituiscano titolo per l’emissione di un provvedimento di deindicizzazione che, “nel rispetto della normativa dell’Unione europea in materia di dati personali”, garantisca in modo effettivo il diritto all’oblio delle persone sottoposte alle indagini o degli imputati.

In conformità al criterio di delega, dunque, il decreto individua la sedes materiae della novella nell’articolo 64-ter disp.att. c.p.p., configurando due diverse tipologie di annotazioni suscettibili di rilascio da parte della cancelleria (correttamente individuata quale destinataria dell’istanza in ragione del riferimento, contenuto nella legge di delegazione, alla comunicazione della sentenza).

Una prima tipologia di annotazione concerne un preventivo divieto di indicizzazione “dei dati personali dell’interessato riportati nel provvedimento». Una seconda tipologia di attestazione concerne, invece, l’idoneità del titolo a consentire di ottenere la deindicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante, ad indicizzazione evidentemente già avvenuta.

La norma delinea, in realtà (ed espandendo le potenzialità del criterio di delega), due forme di tutela del “diritto all’oblio” degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini, notevolmente diverse sotto il profilo contenutistico. L’annotazione preventiva rappresenta, infatti, una cautela (ulteriore rispetto all’oscuramento, in particolare su istanza di parte, delle generalità di cui all’art. 52, co.1, del Codice) volta a circoscrivere gli effetti della pubblicità del provvedimento giurisdizionale (che, anche se favorevole, può comunque risultare pregiudizievole per la parte), agendo in primo luogo sulla sua reperibilità a partire, anzitutto, dal sito istituzionale dell’autorità emanante.

L’annotazione successiva introduce, invece, un criterio di valutazione peculiare della meritevolezza dell’istanza di delisting, fondata sulla prevalenza, sull’interesse alla indiscriminata reperibilità del provvedimento, del diritto alla riservatezza, alla dignità e alla presunzione d’innocenza (ora peraltro tutelato anche in termini di redazione dei provvedimenti giurisdizionali e comunicazione giudiziaria dal d.lgs. 188 del 2021).

Se, dunque, la prima misura delinea una forma di cautela preventiva, la seconda interviene sulla tutela remediale (come tale successiva) tipica della deindicizzazione, con una sorta di presunzione relativa di fondatezza dell’istanza. Con riguardo a quest’ultima, il riferimento all’articolo 17 del Regolamento, quale parametro “ai sensi e nei limiti” del quale venga adottato il provvedimento di deindicizzazione, induce a configurare la presunzione di fondatezza dell’istanza come meramente relativa e non assoluta, tale dunque da correttamente ammettere il bilanciamento, in concreto, con il diritto all’informazione e gli altri interessi giuridicamente rilevanti enunciati dalla norma, anche in ragione della tipologia di contenuti oggetto dell’istanza (se aggiornati, correttamente esposti ecc.).   Tale soluzione (coerente, del resto, con la tassonomia dei vari interessi giuridici suscettibili di venire in rilievo nelle fattispecie concrete) è, peraltro, conforme al vincolo al rispetto della disciplina di protezione dati contenuto nel criterio di delega. La scelta del richiamo integrale all’articolo 17 del Regolamento -e non solo alla lettera e) del paragrafo 1- è correttamente motivata, in Relazione, con l’esigenza di configurare il rinvio alla fonte europea come mobile e non fisso, recependo in maniera più complessiva la disciplina dell’istituto.

Va, certamente, segnalato che la norma non presenta carattere realmente innovativo, dal momento che secondo la giurisprudenza e la prassi costante del Garante, l’esito favorevole del procedimento penale (e, per l’Autorità, persino il riconoscimento del beneficio della non menzione della sentenza di condanna) assurge a parametro rilevante, da considerare ai fini della decisone dell’istanza di deindicizzazione. Per altro verso, anche dall’attestazione preventiva inibitoria dell’indicizzazione non pare possibile attendersi effetti realmente dirimenti, essenzialmente in ragione della (solo parziale) efficacia dei filtri e delle soluzioni tecniche analoghe. La ridotta esigibilità tecnica della misura inibitoria rischia, in altri termini, di depotenziare notevolmente la previsione in esame.

Sotto il profilo meramente semantico, comunque, il contenuto dell’attestazione preventiva merita di essere più correttamente definito  con riferimento all’obbligo di adozione, da parte dei siti i quali pubblichino il provvedimento, di misure idonee a sottrarlo all’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante. Tale riformulazione tiene conto del fatto che oggetto dell’indicizzazione è il contenuto in quanto tale e non il singolo dato (come del resto presuppone anche il disposto del comma 3 dell’articolo 64-ter) e dell’esigenza di chiarire che l’obbligo di adozione di misure inibitorie ricade sul sito-sorgente e non sul motore di ricerca . In ragione di tale riformulazione, andrebbe conseguentemente rimodulato il comma 1, facendo riferimento alla deindicizzazione di contenuti relativi al procedimento e alla preclusione dell’indicizzazione del provvedimento, nei termini su esposti.

Resta, poi, da valutare l’opportunità del richiamo, ai fini dell’attestazione preventiva, all’articolo 17 del Regolamento, che disciplinando l’istituto del diritto alla cancellazione (come tale da esercitare successivamente alla realizzazione del trattamento) appare poco compatibile con una misura di carattere inibitorio e, come tale, preventivo. Inoltre, il riferimento all’articolo 17 del Regolamento, nella sua integralità, sembra radicare, in capo in capo al titolare del trattamento (o, in caso di sua inerzia, al Garante o all’a.g. eventualmente aditi) un margine di discrezionalità valutativa in ordine all’inibitoria che contrasta con la ratio della norma, volta a precostituire un titolo (in questo caso insindacabile) per la sottrazione del provvedimento all’indicizzazione. Si valuti, pertanto, l’opportunità di espungere il riferimento a tale disposizione, nell’ambito della formulazione prescritta per l’attestazione preventiva.

Sarebbe inoltre opportuno, in apertura del comma 2 introdurre una clausola di salvaguardia rispetto all’articolo 52 del Codice, che chiarisca come l’attestazione per il delisting lasci impregiudicata la facoltà del singolo di richiedere la più incisiva tutela dell’oscuramento dei dati nel provvedimento, la quale è tuttavia soggetta (diversamente dall’attestazione preventiva) alla valutazione giudiziale in ordine alla sussistenza dei motivi legittimi.

IL GARANTE

ai sensi degli articoli 36, paragrafo 4 del Regolamento e 24, comma 2, del d.lgs. 18 maggio 2018, n. 51, esprime parere favorevole sul proposto schema di decreto legislativo di attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari con le osservazioni, esposte nel “Ritenuto”, volte a suggerire l’opportunità di:

1) aggiungere all’articolo 6, c. 1, lett. c), cpv. “art. 111-ter”, al comma 1, in fine, le seguenti parole: “, comunque in osservanza della disciplina di protezione dei dati personali”.;

2) prevedere, all’articolo 87, c. 1, l’acquisizione del parere del Garante sullo schema di regolamento ministeriale recante la definizione delle regole tecniche riguardanti i depositi, le comunicazioni e le notificazioni telematiche degli atti del procedimento penale, estendendone altresì l’oggetto alla disciplina delle modalità di formazione e conservazione del fascicolo informatico e di gestione degli atti e dei documenti formati in origine su supporto analogico, dopo l’effettuazione della relativa copia informatica, nonché degli strumenti tecnologici da utilizzare, in particolare, ai fini delle registrazioni audiovisive e della partecipazione a distanza agli atti del procedimento o all’udienza e delle misure tecniche e organizzative idonee a garantire un livello di sicurezza adeguato ai rischi connessi a tali trattamenti;

3) prescrivere (se del caso con rinvio a fonte secondaria), in relazione alla disciplina della partecipazione a distanza alle udienze o allo svolgimento di atti processuali, la necessaria sicurezza e affidabilità, sotto il profilo telematico, del collegamento (cfr., in particolare, art. 8, cpv. “art. 133-ter”);

4) integrare la previsione di cui all’articolo 155, c. 1, c.p.p., come novellata dall’articolo 10, c. 1, lett. g), dello schema di decreto, disponendo - in conformità al canone di proporzionalità e se del caso con rinvio a fonte secondaria- il termine massimo di pubblicazione dell’atto oggetto di notificazione mediante pubblici annunzi, con sottrazione all’indicizzazione da parte dei motori di ricerca;

5) acquisire il parere del Garante sullo schema di decreto di cui all’articolo 41, c. 1, lett. ff), cpv. “art. 181-bis”, c. 2;

6) all’articolo 41, c. 1, lett. h), cpv. “art. 64-ter”:

- al comma 2, ridefinire il contenuto dell’attestazione preventiva con riferimento all’obbligo di adozione, da parte dei siti i quali pubblichino il provvedimento, di misure idonee a sottrarlo all’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante, valutando altresì l’opportunità di espungere il riferimento all’articolo 17 del Regolamento, nell’ambito della formulazione prescritta per l’attestazione;

- introdurre, in apertura del comma 2, una clausola di salvaguardia rispetto all’articolo 52 del Codice, riformulando conseguentemente il comma 1.

Roma, 1° settembre 2022

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Stanzione

IL SEGRETARIO GENERALE
Mattei