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Provvedimento del 28 aprile 2022 [9777246]

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[doc. web n. 9777246]

Provvedimento del 28 aprile 2022

Registro dei provvedimenti
n. 154 del 28 aprile 2022

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, il dott. Agostino Ghiglia e l’avv. Guido Scorza, componenti, ed il cons. Fabio Mattei, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il reclamo presentato al Garante, ai sensi dell’art. 77 del Regolamento, in data 1° aprile 2021 con il quale XX ha chiesto di ordinare a Google LLC la rimozione dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nominativo di alcuni URL collegati a contenuti nei quali gli sono attributi gravi reati riguardo ai quali non risultano pendenti, per quanto a lui noto, procedimenti penali a proprio carico, né condanne in ambito civile, penale o amministrativo;

CONSIDERATO che l’interessato ha, in particolare, rilevato:

di essere stato oggetto, nel XX, “di feroci attacchi sulla rete Internet mentre er[a] candidato XX,;

che, nei contenuti pubblicati, gli sono stati attribuiti reati “quali stalking, sostituzione di persona, diffamazione, truffa” e veniva definito, “da persone cui non h[a] mai avuto contatti, un XX”;

che i predetti contenuti rappresentavano fatti non veritieri e mai stati oggetto di giudizio in Italia o all’estero e sono indicizzati dai motori di ricerca tramite i quali risultano facilmente accessibili digitando il proprio nominativo;

VISTA la nota del 2 febbraio 2021 con la quale l’Autorità ha chiesto al titolare del trattamento di fornire le proprie osservazioni in ordine a quanto rappresentato nell’atto introduttivo del procedimento e di comunicare la propria eventuale intenzione di aderire alle richieste del reclamante;

VISTA la nota del 19 febbraio 2021 con la quale l’Autorità, a seguito di motivata richiesta del titolare del trattamento, ha concesso una proroga per la trasmissione del riscontro alle richieste contenute nel reclamo;

VISTA la nota del 24 marzo 2021 con la quale Google LLC, rappresentata dagli avvocati XX, XX ed XX, ha rilevato:

che sulla vicenda si è già pronunciato nel XX che ha accertato “la veridicità e accuratezza dei medesimi fatti di cui agli URL contestati”;

che, infatti, il XX l’interessato aveva presentato ricorso all’Autorità “per ottenere la rimozione globale di 26 URL aventi a oggetto le medesime vicende di cui agli URL contestati, ovvero i documenti e i titoli falsi utilizzati per la candidatura del reclamante XX ”;

che, con il provvedimento n. 557 del 21 dicembre 2017, il Garante decideva di accogliere le richieste dell’interessato, ritenendo configurabile un'ipotesi di c.d. "rant", decisione con riguardo alla quale la società ha proposto opposizione al fine di ottenere l’annullamento della decisione ritenendo insussistente il diritto all'oblio del Sig. XX e illegittimo l'ordine di rimozione globale;

che, con decisione del XX, il XX ha accolto il ricorso di Google, ritenendo che "i dati personali relativi a XX siano attuali, aggiornati, pertinenti e rivestano un carattere di indubbio 'pubblico interesse'";

che l’interessato, nell’odierno reclamo, omette qualsiasi riferimento alla decisione assunta dal Tribunale, tentando di fare leva su presunti attacchi personali posti in essere in rete a suo danno;

nel merito della richiesta, che quattro degli URL indicati nel reclamo – elencati a pag. 4 della memoria – non risultano indicizzati con il nominativo dell’interessato e, pertanto, rispetto ad essi non vi sono misure da dover assumere;

con riferimento ai restanti URL, che la richiesta di rimozione sia da ritenersi infondata tenuto conto del fatto che l’interessato “tenta di supportare la sua pretesa azione censoria dei contenuti giornalistici per cui è causa sulla base dell'asserita infondatezza delle molteplici inchieste giornalistiche relative ai documenti e ai titoli falsi utilizzati dal reclamante per candidarsi con XX e alle accuse di XX”, conclusione tuttavia negata dall’autorità giudiziaria sulla base delle argomentazioni riportate nella sentenza sopra citata;

che, con riguardo alla campagna elettorale del reclamante e sulla base delle numerose inchieste giornalistiche effettuate sul punto, "il partito XX si dichiarava gestito da una XX […] (XX in realtà mai esistente); gli unici candidati erano XX e XX; i titoli di studio indicati dal Sig. XX non appaiono veritieri (nell'inchiesta di Rolling Stone si legge che il XX nega di averlo avuto come studente e che XX ha riferito che XX non ha ottenuto alcun dottorato presso quella università) e l'istituto presso il quale il ricorrente ha dedotto di aver avuto una docenza (il XX) sembra inesistente; la firma notarile apposta sui documenti depositati presso il Ministero dell'Interno all'atto della presentazione del suo partito sembra essere falsa (cfr. inchieste de XX)" (XX)”;

che, con riferimento all’accusa di XX, vi sono numerose donne che hanno raccontato, anche nel corso di interviste, di essere state diffamate on-line dall’interessato e che il sito web www... (oggetto del Provvedimento e della decisione del XX di XX) sarebbe “stato creato per "mettere in guardia dai comportamenti diffamatori e molesti dello stesso XX" (XX)”;

che, oltre a molte donne, tra le vittime delle attività dell’interessato risultano anche diversi  professori universitari, professionisti nel settore dell'informatica e italiani all'estero “che si sono resi disponibili a testimoniare, con tanto di nomi e cognomi, le persecuzioni subite a opera del Sig. XX tramite alcuni siti gestiti dal reclamante”;

che anche l'affermazione del reclamante secondo cui non sarebbe a conoscenza di procedimenti penali a suo carico appare pretestuosa in quanto il 19 gennaio 2018 Google ha ricevuto una richiesta da parte di un’autorità giudiziaria statunitense con la quale è stata domandata la comunicazione dei dati relativi ad alcuni account del Sig. XX, presumibilmente utilizzati per compiere atti di molestie on-line di cui si è dato conto e tale richiesta “è stata emessa nel contesto di un procedimento penale instaurato avanti alla General Court of Justice dello stato della Carolina del Nord (USA) da una donna americana il cui nome compare tra quello delle vittime del Sig. XX”;

che l’interessato, che dal XX non ha intrapreso alcuna azione giudiziaria nei confronti degli autori delle inchieste giornalistiche contestate, non prende posizione in ordine ai fatti oggetto degli URL indicati nel reclamo limitandosi a qualificare tali informazioni come "non veritiere" o come "mere aggressioni molto lontane dall'esimente del diritto di cronaca o di critica", nonostante le evidenze probatorie esistenti a sostegno di tali inchieste (non chiarendo, ad esempio, come mai si sia autoproclamato professore del "XX", definita come la prima e unica istituzione nel settore dell'Ict nello XX, circostanza smentita dallo  stesso XX o per quale motivo sul sito dedicato alla lista elettorale XX fosse menzionato un fantomatico patrocinio del XX, circostanza smentita dallo stesso XX);

che, nel caso in esame, non possono dirsi sussistenti i requisiti previsti per l’esercizio del diritto all’oblio tenuto conto del fatto che si tratta di informazioni di recente pubblicazione (la quasi totalità risale al XX) e che l’interessato svolge un ruolo nella vita pubblica in quanto impegnato, per sua stessa affermazione, nella vita politica, nonché in virtù dell’attività imprenditoriale e di professore universitario che lo stesso ricopre come da sua biografia disponibile on-line;

che, infine, deve ritenersi inammissibile la richiesta di delisting globale, ossia estesa ai domini extraeuropei del motore di ricerca, trattandosi di una pretesa espressamente esclusa dalla Corte di Giustizia che nella sentenza relativa alla causa C-507/17 adottata il 24 settembre 2019 ha negato la sussistenza di un obbligo di questo tipo in capo al gestore di un motore di ricerca sulla base di principi che sono stati ribaditi anche dalla giurisprudenza nazionale pronunciatasi sul punto;

VISTE le comunicazioni, datate 24 marzo e 3 novembre 2021, con le quali l’interessato ha ribadito le proprie richieste rilevando che:

le gravi accuse a lui rivolte risultano smentite dai certificati del casellario giudiziale allegati al reclamo, precisando che il procedimento penale avviato negli Stati Uniti, e del quale riferisce Google, risulta archiviato;

con riguardo a due degli URL oggetto di richiesta di rimozione, e relativi a siti web ospitati sulla piattaforma Blogger/Blogspot di proprietà di Google, quest’ultima ha sistematicamente ignorato le segnalazioni di abuso da lui presentate con riferimento ad account falsi creati utilizzando il suo nominativo;

Google rifiuta categoricamente di comunicare “chi è la persona che usa i miei dati — anche se, a questo proposito, ora so per certo che è in corso un procedimento penale”, circostanza in relazione alla quale potrei supporre che l'autore sia la stessa società visto che i siti sono di sua proprietà;

VISTA la nota del 3 novembre 2021 con la quale è stata comunicata alle parti, ai sensi dell’art. 143, comma 3, del Codice, nonché dell’art. 8, comma 1, del regolamento dell’Autorità n. 2/2019 (in www.garanteprivacy.it, doc. web n. 9107640), la proroga del termine per la definizione del procedimento;

CONSIDERATO, preliminarmente, che:

nei confronti di Google LLC trova applicazione, per effetto delle attività svolte in ambito europeo attraverso le proprie sedi, il principio di stabilimento e che pertanto i relativi  trattamenti sono soggetti alle disposizioni del Regolamento in virtù di quanto previsto dall'art. 3, par. 1;

il trattamento di dati personali connesso all'utilizzo del motore di ricerca di Google risulta tuttavia direttamente gestito, anche per il territorio UE, da Google LLC, avente sede negli Stati Uniti;

tale circostanza è idonea a fondare, ai sensi dell'art. 55, par. 1, del Regolamento, la competenza del Garante italiano a decidere i reclami ad esso proposti con riferimento al proprio territorio nazionale;

CONSIDERATO che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”;

PRESO ATTO che Google, con riguardo agli URL indicati a pag. 4 della memoria trasmessa da quest’ultima, ha dichiarato che gli stessi non sono reperibili in associazione al nominativo dell’interessato e di non poter pertanto adottare misure in merito e ritenuto, pertanto, che non vi siano i presupposti per l’adozione di provvedimenti in merito da parte dell’Autorità;

CONSIDERATO, con riguardo all’istanza di rimozione degli ulteriori URL indicati nell'atto introduttivo avanzata nei confronti di Google LLC, che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto all’oblio ai sensi degli artt. 17, par. 1, lett. c), e 21, par. 1, del Regolamento, occorre tenere conto, oltre che dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo, anche degli ulteriori criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, nonché delle più recenti “Linee Guida” n. 5/2019 adottate dall’European Data Protection Board (EDPB) il 7 luglio 2020, contenenti i criteri per l’applicazione del diritto all’oblio da parte dei motori di ricerca alla luce del Regolamento;

CONSIDERATO che:

le informazioni reperibili attraverso gli URL indicati nel reclamo hanno formato oggetto di valutazione in epoca recente da parte dell’autorità giudiziaria che ha disposto l’annullamento di un precedente provvedimento adottato dall’Autorità con riferimento ad un ricorso proposto dall’interessato in relazione a contenuti analoghi a quelli contestati con l’odierno reclamo;

l’autorità giudiziaria ha ritenuto, con riguardo a tali contenuti, che i dati dell’interessato siano attuali, aggiornati e pertinenti tenuto conto del fatto che, con riferimento alla campagna elettorale da lui effettuata, “il partito XX si dichiarava gestito da una XX […] (XX in realtà mai esistente); gli unici candidati erano XX e XX; i titoli di studio indicati dal Sig. XX non appaiono veritieri (nell'inchiesta di Rolling Stone si legge che il XX nega di averlo avuto come studente e che XX ha riferito che XX non ha ottenuto alcun dottorato presso della università) e l'istituto presso il quale il ricorrente ha dedotto di aver avuto una docenza (il XX) sembra inesistente; la firma notarile apposta sui documenti depositati presso il Ministero dell'Interno all'atto della presentazione del suo partito sembra essere falsa (cfr. inchieste de XX)" (XX);

lo stesso Tribunale ha rilevato che, sulla base degli elementi emersi nell’ambito delle ulteriori inchieste giornalistiche oggetto di doglianza, le circostanze lamentate dall’interessato non appaiono inesatte in termini reali in quanto “dalle inchieste giornalistiche sopra indicate, emergono numerosissime circostanze che non consentono di escludere – prima di un'attenta verifica, in sede giudiziaria – la sussistenza dei requisiti previsti dalla disciplina in materia di trattamento dei dati personali. Ai fini di una valutazione relativa alle caratteristiche del trattamento dei dati personali – e a prescindere dalla natura diffamatoria di affermazioni svolte dagli autori dei messaggi di cui agli URL per cui è causa, delle quali potranno essere chiamati a rispondere in un giudizio ordinario di cognizione piena, solo i predetti autori – deve concludersi che i dati personali del ricorrente – trattati nel XX, pochi mesi prima della sua candidatura politica – risultano, in considerazione della particolare natura delle informazioni trattate (e del rilievo penale di alcune delle vicende narrate, che giustifica, sicuramente espressioni colorite con toni aspri e pungenti), alla luce delle considerazioni appena svolte, pertinenti e completi.

In presenza dei predetti requisiti, l'interesse pubblico deve ritenersi del tutto sussistente" (cfr. sentenza del XX);

RILEVATO che:

non sono stati dedotti dall’interessato elementi di valutazione diversi e ulteriori rispetto a quanto formato oggetto di giudicato, del quale peraltro il medesimo non ha fatto alcun cenno nell’atto di reclamo;

sulla base di quanto emerso nel corso del procedimento, si reputa pertanto tuttora sussistente l’interesse del pubblico alla conoscibilità delle informazioni che lo riguardano;

RITENUTO, pertanto, di dover considerare il reclamo infondato;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell’art. 57, par. 1 lett. f), del Regolamento, dichiara il reclamo infondato.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lg. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 28 aprile 2022

IL VICEPRESIDENTE
Cerrina Feroni

IL RELATORE
Cerrina Feroni

IL SEGRETARIO GENERALE
Mattei