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Provvedimento del 24 giugno 2020 [9444540]

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[doc. web n. 9444540]

Provvedimento del 24 giugno 2020

Registro dei provvedimenti
n. 113 del 24 giugno 2020

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il dott. Antonello Soro, presidente, la dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, la prof.ssa Licia Califano e la dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e il dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il reclamo presentato al Garante in data 25 marzo 2019, ai sensi dell’art. 77  del Regolamento, nei confronti de Il Tempo S.r.l. - in qualità di editore del quotidiano “Il Tempo” - e della sig.ra XX, giornalista del predetto quotidiano, con il quale XX, rappresentato e difeso dall’avv. XX, ha chiesto di ordinare al titolare del trattamento la cessazione di ogni ulteriore trattamento illecito dei propri dati “mediante pubblicazione o ripubblicazione” di un articolo diffuso il XX 2019 e di disporre “la rimozione [dello stesso] da qualsivoglia archivio e banca dati redazionale disponibili anche on line”;

CONSIDERATO che l’interessato, nel lamentare il grave pregiudizio derivante alla propria reputazione personale dalla diffusione delle informazioni riportate nel predetto articolo, ha rappresentato in particolare;

di non ricoprire attualmente alcun ruolo o incarico pubblico e che pertanto, sebbene sia altamente qualificato dal punto di vista della professione esercitata, le notizie che lo riguardano non possono ritenersi di particolare interesse per la collettività;

che, già “dal solo esame della titolazione e della impostazione editoriale e giornalistica data (…) all’articolo oggetto del (…) reclamo emerge con oggettiva chiarezza l’esercizio esorbitante e sproporzionato dell’attività giornalistica e del connesso trattamento dei dati personali in violazione dei principi di “liceità, correttezza e trasparenza verso l’interessato””, tenuto conto del fatto che la vicenda è stata ricostruita come una “sorta di sentenza inappellabile, quasi fossero state già accertate in maniera definitiva” le responsabilità del medesimo, dando “esclusivo spazio alle tesi (…) del pubblico ministero, riportandone gli integrali capi di imputazione” senza alcun riferimento alle tesi difensive;

che il trattamento dei propri dati personali è avvenuto in violazione del principio di essenzialità dell’informazione di cui all’art. 137, comma 3, del Codice - come dimostrato anche dall’avvenuta pubblicazione, a corredo dell’articolo, della propria immagine fotografica - oltreché dei limiti imposti all’esercizio del diritto di cronaca, ovvero quello della verità oggettiva del fatto, dell’interesse pubblico a conoscerlo e della correttezza dell’esposizione, tenuto conto, a quest’ultimo riguardo, come “l’esposizione della giornalista, lungi dall’essere corretta, appa[ia] invece finalizzata (…) a screditare in modo assai grave il reclamante sul piano personale e della sua reputazione”;

che il predetto trattamento si pone altresì in contrasto con l’art. 6, commi 1 e 2, delle regole deontologiche applicabili nell’ambito dei trattamenti per fini giornalistici in quanto la vicenda “del tutto privata” dei propri rapporti familiari non può certamente ritenersi “rilevante” ed indispensabile nell’ottica della corretta informazione giornalistica, specie tenendo conto dell’”assenza [di una] particolare qualificazione dei protagonisti”;

che risulta violato anche l’art. 5 del Regolamento ritenendosi assenti i presupposti di liceità del trattamento e non essendo “in alcun modo legittime le finalità (…) di oggettivo discredito della [propria] reputazione”, tenuto conto anche del fatto che nello stesso articolo si dà conto di vicende “che esulano completamente dal contesto e dalle stesse “notizie” e circostanze riferite in precedenza”, fornendo in tal modo la  rappresentazione di “un soggetto che accumula indagini e capi di imputazione”;

l’avvenuta violazione da parte della giornalista autrice dell’articolo delle regole deontologiche di tipo professionale che assumono, nel contempo, gli estremi di una violazione degli ulteriori presupposti di liceità del trattamento;

VISTA la nota del 2 luglio 2019 con la quale l’Autorità ha chiesto al titolare del trattamento di fornire le proprie osservazioni in ordine a quanto rappresentato nell’atto di reclamo e l’eventuale intenzione di aderire alle richieste dell’interessato;

VISTA la nota del 22 luglio 2019 con la quale Il tempo S.r.l. e XX, rappresentati e difesi dall’avvocato XX, hanno dichiarato che:

il reclamante riveste un indubbio ruolo pubblico in virtù della professione esercitata, oltreché dell’ulteriore risonanza derivante dalla XX, nonché del suo coinvolgimento “nell’inchiesta relativa alla XX”;

in epoca recente il medesimo è stato altresì interessato da una vicenda personale di rilievo penale in relazione alla quale “è stato fatto oggetto di un decreto di giudizio immediato relativo alla fattispecie di reato che egli – nella ricostruzione del p.m. – avrebbe realizzato nei confronti di sua moglie e di sua figlia”;

l’articolo pubblicato sul quotidiano si limita a riportare “esattamente quanto contenuto nel decreto di giudizio immediato, evitando qualsivoglia opinione personale o anche solo critica nei confronti del reclamante” - come risulta evidente dal titolo dell’articolo e dall’uso del virgolettato contenuto nel testo – indicando in più occasioni “il fatto che gli addebiti penali mossi nei confronti [del medesimo] non sono in alcun modo definitivi”;

il diritto di cronaca risulta pertanto esercitato in maniera corretta in quanto finalizzato a rendere edotto il pubblico dell’esistenza di un procedimento penale riguardante una persona di rilievo pubblico senza tuttavia esprimere alcuna opinione personale in ordine alla posizione processuale dell’interessato;

le informazioni riportate nell’articolo, infatti, risultano “essenziali al raggiungimento dello scopo prefissatosi dalla giornalista” in quanto “diffondere la notizia dell’avvenuto rinvio a giudizio immediato non risulterebbe possibile senza riprendere il contenuto del [relativo] decreto”;

in ordine alla contestata violazione dell’art. 5 del Regolamento, il trattamento posto in essere appare lecito in quanto rientrante in una manifestazione del diritto di cronaca nel pieno rispetto delle regole deontologiche di settore, oltreché del principio di finalità tenuto conto del fatto che lo scopo dell’articolo è quello di informare la collettività riguardo ad un procedimento penale attivato nei confronti di persona di indubbio rilievo pubblico e che peraltro risulta ancora in corso di svolgimento;

l’interessato non ha mai fatto pervenire al titolare del trattamento alcuna istanza preventiva intesa ad esercitare i diritti riconosciuti dal Regolamento e che, in ogni caso, non appena appresa la notizia dell’avvenuta proposizione di un ricorso innanzi all’Autorità, lo stesso titolare ha provveduto a deindicizzare il contenuto dell’articolo da ogni database di sua pertinenza, nonché “a derubricare le chiavi di ricerca anche all’interno dell’archivio destinato agli abbonati”;

VISTA la nota del 20 novembre 2019 con la quale l’Autorità ha chiesto all’interessato di fornire le proprie osservazioni in merito a quanto dedotto dal titolare del trattamento;

VISTA la nota del 5 dicembre 2019 con la quale il reclamante ha dedotto che:

la memoria di controparte, anziché fornire un riscontro puntuale in ordine a quanto lamentato nell’atto di reclamo, si è limitato a riportare, in termini generali, i principi e le norme che dovrebbero ispirare il corretto esercizio del diritto di cronaca giornalistica e che invece, nel caso di specie, risultano violate;

non ricoprirebbe, contrariamente a quanto ritenuto dal titolare del trattamento, alcun ruolo di rilievo pubblico tale da giustificare la diffusione di informazioni che lo riguardano, non potendosi considerare sufficiente, al fine di integrare tale condizione, l’iscrizione in un albo professionale - circostanza quest’ultima che coinvolge migliaia di persone - e richiamando, a conferma di quanto eccepito, i criteri elaborati a tale riguardo successivamente alla pronuncia della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea C-131/12 in materia di diritto all’oblio riguardo al trattamento posto in essere dal gestore di un motore di ricerca;

la pubblicazione dell’articolo contestato è avvenuta in violazione delle norme di settore e di quelle deontologiche in quanto lo stesso “riporta vicende assolutamente private che riguardano la sfera familiare” dell’interessato, oltre a riferire di un suo coinvolgimento in una diversa inchiesta relativa a fatti e imputazioni inesistenti a suo carico;

in ogni caso, l’interesse della collettività a conoscere le vicende dedotte nell’articolo non potrebbe comunque riconoscersi in virtù di quanto previsto dall’art. 6, comma 2, delle regole deontologiche sul trattamento per fini giornalistici che impone il rispetto della vita privata delle persone note nel caso in cui le notizie non abbiano alcun rilievo sul loro ruolo pubblico, come appunto nel caso di specie in cui le vicende attengono al suo ruolo di padre e marito;

con riguardo alle modalità con le quali è stata riportata la notizia, risulta evidente che l’articolo “è consapevolmente e sapientemente costruito nella sua impostazione editoriale su scelte e modalità “eccedenti lo scopo informativo”” e “proprio la scelta di titolo, virgolettato, citazioni del decreto penale e associazione finale a vicenda del tutto diversa (e alla quale il reclamante è estraneo) è finalizzata a ingenerare nel lettore la convinzione che XX è un personaggio violento, un padre e un marito degenere, un picchiatore e – in conclusione dell’articolo – anche un delinquente recidivo”;

l’asserito utilizzo da parte della giornalista di espressioni atte ad evidenziare la non definitività degli addebiti mossi nei suoi riguardi è smentita dall’utilizzo di un “ampio uso di terminologia giuridica altamente tecnica (es: “XX”) che di certo un lettore medio non è in grado di comprendere quanto alla definitività o meno dei fatti riferiti”;

con riguardo all’eccezione, sollevata dal titolare del trattamento, relativa alla mancata proposizione di un preventivo interpello, il ricorso a quest’ultimo non sia affatto necessario in quanto il reclamo è diretto a far valere una violazione delle norme del Regolamento contestando, in particolare, le modalità di esercizio del diritto di cronaca giornalistica ritenute “lesive del diritto alla protezione dei dati personali, dell’onore, del decoro e dei principi di continenza ed essenzialità” dell’informazione;

dati comunque afferenti ad una sfera particolarmente delicata, quale quella giudiziaria, dovrebbero essere trattati con maggiori cautele in quanto, contrariamente a quanto asserito da controparte, l’art. 12, comma 2, delle regole deontologiche impone al giornalista di rispettare, nel trattare i dati relativi alla qualità di imputato o rinviato a giudizio, il principio di essenzialità dell’informazione, evitando il riferimento a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti;

VISTA la nota del 21 gennaio 2020 con la quale l’Autorità ha chiesto al titolare del trattamento di fornire le proprie osservazioni in ordine alla memoria fatta pervenire dal reclamante, nonché la nota del 22 gennaio 2020 con la quale è stata comunicata alle parti, ai sensi dell’art. 143, comma 3, del Codice, nonché dell’art. 8, comma 1, del regolamento dell’Autorità n. 2/2019 (in www.garanteprivacy.it, doc. web n. 9107640), la proroga del termine per la definizione del procedimento;

VISTA la nota del 5 febbraio 2020 con la quale il titolare del trattamento ha rappresentato che:

l’interessato riveste un indubbio ruolo pubblico tenuto conto del fatto che quest’ultimo può essere connesso anche alla notorietà di una persona a livello locale;

il medesimo esercita, infatti, la professione di avvocato nel XX ed è stato soggetto attivo XX, ma anche in precedenza avendo egli svolto l’incarico di “XX”; ha inoltre rivestito ruoli rilevanti nella p.a. capitolina essendo stato “XX”, XX” ed avendo ricoperto importanti cariche anche in ambito imprenditoriale, con particolare riguardo al settore delle telecomunicazioni e dei trasporti;

l’associazione, effettuata all’interno dell’articolo, del nome del reclamante con l’inchiesta avviata con riferimento alla XX non è stata effettuata “per capriccio”, “essendovi [egli] indubbiamente coinvolto in qualità di indagato” come riportato da diverse testate giornalistiche all’epoca dei fatti (XX);

tali circostanze determinano l’espansione dell’interesse della collettività a conoscere anche informazioni attinenti la sua vita privata e, a maggior ragione, di notizie aventi rilevanza penale a lui riconducibili;

le contestazioni mosse con riguardo alle modalità con cui le notizie sono state riportate non hanno alcun fondamento tenuto conto del fatto che “il virgolettato non racchiude affatto “determinate parole”, ma interi passi” del decreto di citazione a giudizio e che l’utilizzo del lessico giuridico, anziché risultare fuorviante, come sostenuto dal reclamante, dovrebbe “mettere al riparo il lettore da informazioni distorte e pienamente aderenti alla cronaca giudiziaria”;

CONSIDERATO che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”;

RILEVATO che – come più volte sostenuto dall’Autorità – al fine di contemperare i diritti della persona (in particolare il diritto alla riservatezza) con la libertà di manifestazione del pensiero, la disciplina in materia di protezione dei dati personali prevede specifiche garanzie e cautele nel caso di trattamenti effettuati per finalità  giornalistiche, confermando la loro liceità, anche laddove essi si svolgano senza il consenso degli interessati, purché avvengano nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità delle persone alle quali si riferiscono i dati trattati (cfr. artt. 136 e ss. e art. 102, comma 2, lett. a), del Codice) e sempreché si svolgano nel rispetto del principio dell’essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico (art. 6 delle “Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell’attività giornalistica” (allegato A.1 al Codice);

CONSIDERATO che:

l’articolo oggetto di contestazione riferisce di fatti di cronaca giudiziaria riguardanti il reclamante, personaggio certamente noto, quanto meno nell’ambito locale di riferimento, come desumibile sulla base dei numerosi incarichi ricoperti dal medesimo anche in ambito pubblico;

l’interessato, in relazione ai gravi fatti riferiti nell’articolo, è stato rinviato a giudizio ed il relativo processo risulta tuttora in corso di definizione;

i fatti riportati nell’articolo non risultano riconducibili ad una ricostruzione elaborata dalla giornalista, ma corrispondono integralmente al contenuto del decreto con il quale è stato disposto il giudizio immediato – come si evince dall’uso del virgolettato – e facendo ricorso all’uso del condizionale in tal modo evidenziando la non definitività dell’addebito;

il reclamo, pur richiamando a sostegno della richiesta di rimozione la normativa in materia di protezione dei dati personali, risulta ampiamente incentrato sulla contestazione della veridicità dei fatti riportati nell’articolo, profilo che costituisce oggetto di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria ed in ordine al quale il Garante non ha competenza;

CONSIDERATO altresì che le vicende riportate nell’articolo riguardano anche la figlia minore del reclamante, facilmente identificabile in virtù del legame di parentela con il proprio genitore, sebbene il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca ai sensi dell’art. 7 delle “Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell’attività giornalistica”;

PRESO ATTO, in ogni caso, che nel corso del procedimento l’editore, al fine di bilanciare le esigenze di cronaca giornalistica con i diritti dell’interessato, ha comunque disposto la disabilitazione dell’accessibilità all’articolo sia tramite i motori di ricerca esterni al proprio sito che attravers0 il motore di ricerca interno utilizzabile dagli abbonati;

RITENUTO pertanto che non sussistano i presupposti per l'adozione di provvedimenti da parte dell'Autorità;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE la prof.ssa Licia Califano;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell’art. 57, par. 1 lett. f), del Regolamento, prende atto che Il Tempo S.r.l. ha disposto la disabilitazione dell’accessibilità all’articolo sia tramite i motori di ricerca esterni al proprio sito che attravers0 il motore di ricerca interno utilizzabile dagli abbonati società e pertanto ritiene che non vi siano i presupposti per l'adozione di provvedimenti in merito da parte dell'Autorità.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lg. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 24 giugno 2020

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Califano

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia