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I - Stato di attuazione della legge n. 675/1996 - Giornalismo - Relazione 2000 - 17 luglio 2001

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Relazione 2000

I - Stato di attuazione della legge n. 675/1996


Giornalismo

44. PROFILI GENERALI
Il Garante ha continuato a ricevere numerosi quesiti, reclami, segnalazioni e ricorsi inerenti al trattamento dei dati per finalità giornalistiche. Il fatto che, pur in assenza di sostanziali modifiche al quadro normativo sui trattamenti svolti in ambito giornalistico (quali si erano invece verificate nel 1998 con l´approvazione del codice deontologico sui trattamenti realizzati nell´ambito dell´attività giornalistica), si sia evidenziata una così diffusa domanda di tutela da parte dei cittadini, testimonia il fatto che tali trattamenti sono avvertiti come particolarmente incisivi sulla sfera privata dei singoli.

D´altra parte, in una società come la nostra, nella quale i mezzi di informazione assumono un ruolo di così grande importanza e possono anche per questo arrecare danni notevoli alla vita privata dei singoli, appare evidente che i trattamenti svolti nell´esercizio della professione giornalistica costituiscano uno degli ambiti maggiormente problematici fra quelli affidati alla tutela del Garante. Ciò, anche in considerazione del delicato vaglio che l´Autorità è chiamata a compiere nei singoli casi, a proposito dell´essenzialità dell´informazione diffusa con riferimento all´interesse pubblico alla sua conoscenza.

Si deve altresì rilevare che sempre più spesso problematiche di questa natura vengono segnalate con riguardo alla diffusione di informazioni personali tramite Internet. Ciò è indice del grande sviluppo che stanno avendo in rete i mezzi di comunicazione ed insieme dei rischi che tale diffusione reca con sé per quanto attiene alla tutela dei dati personali (si veda in proposito il Provv. del 30 ottobre 2000, relativo alla diffusione su un sito Internet di un articolo di carattere giornalistico del quale l´interessato lamentava la volgarità, la falsità nonché il coinvolgimento di persone estranee alla sua sfera personale).


45. SEGRETO D´UFFICIO, SEGRETO PROFESSIONALE E C.D. SEGRETO INVESTIGATIVO

Limiti del segreto dei giornalisti in materia di indagini della magistratura
Il Garante ha avuto modo di occuparsi dei giornalisti non solo in quanto soggetti che diffondono notizie riguardanti terzi, e quindi come ordinarie controparti di coloro che lamentano una violazione della propria riservatezza e dignità, ma anche in quanto potenziali destinatari di una tutela sotto il profilo della tutela della segretezza delle fonti.

Uno dei profili di maggiore delicatezza ed interesse in materia attiene certamente al segreto professionale dei giornalisti ed al suo rapporto con le indagini della magistratura. Come è noto, infatti, i giornalisti, in ragione della propria attività, godono di una particolare tutela per quanto attiene alla segretezza delle fonti da cui ricavano le informazioni utilizzate nell´esercizio della professione. Essa, tuttavia, è suscettibile di essere compressa qualora il giudice ordini al giornalista di indicare l´origine delle sue informazioni nel caso in cui le notizie siano indispensabili ai fini della prova del reato e la loro veridicità possa essere accertata solo attraverso l´identificazione della fonte della notizia (art. 200, comma 3, c.p.p.).

A questo riguardo, si può ricordare il caso in cui un giornalista ha lamentato una violazione del segreto in occasione di perquisizioni disposte da una Procura della Repubblica che procedeva per il reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio commesso da un pubblico ufficiale non identificato.

Ciò, in seguito alla pubblicazione da parte dello stesso giornalista di un articolo nel quale aveva riferito di un arresto nell´ambito di un´indagine penale.

Il Garante ha proceduto, attenendosi strettamente al profilo di propria competenza attinente al trattamento dei dati personali, ad una verifica del corretto rispetto della normativa in materia di protezione dei dati.

Gli accertamenti, dopo alcune iniziali perplessità di ordine giuridico manifestate dall´ufficio interessato, per certi aspetti fisiologiche considerata la delicatezza delle questioni di diritto coinvolte, sono stati completati con la fattiva cooperazione del medesimo ufficio ed hanno permesso di dichiarare non fondato il reclamo alla luce proprio delle risultanze processuali e dell´andamento dei fatti (Provv. del 28 maggio 2000).

Al di là dell´esito, tale pronuncia merita di essere ricordata per alcuni chiarimenti di carattere generale offerti dal Garante sulle proprie competenze in relazione ai trattamenti svolti dalla magistratura. Come è noto, infatti, gli uffici giudiziari sono tenuti al rispetto di alcune disposizioni della legge n. 675/1996 che riguardano anche la pertinenza e la non eccedenza dei dati trattati; l´Autorità può accertare la rispondenza dei trattamenti ai requisiti di legge, ove necessario verificando l´attuazione da parte del titolare o del responsabile di modificazioni o integrazioni dirette a rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti (artt. 4, comma 2; 31, comma 1, lett. b), c), p) e 32, commi 6 e 7, l. n. 675/1996).

A questo riguardo, l´Autorità ha chiarito che tale delicata attività di verifica è stata però inserita dal legislatore – e deve essere conseguentemente esercitata- in un quadro di cooperazione e di rispetto delle reciproche attribuzioni che non permette, ad esempio, di invocare dinanzi al Garante un sindacato sull´ampiezza del materiale probatorio acquisito nel corso delle indagini preliminari o di sollevare davanti all´Autorità questioni attinenti alla validità di atti procedimentali, alla loro riforma o all´utilizzabilità nel processo degli elementi di prova, dovendo tali questioni essere invece esaminate nelle sedi processuali utilizzando gli ordinari strumenti di impugnazione.

Segreto professionale dei giornalisti ed esercizio dei diritti ex art. 13
La tutela del segreto professionale dei giornalisti può venire in considerazione anche con riguardo all´esercizio dei diritti previsti dall´art. 13 della legge n. 675/1996. Infatti, come ha avuto modo di ricordare il Garante anche nel corso del 2000, la possibilità accordata ai giornalisti di opporre il segreto sulle fonti di informazione non li esime dal dare riscontro alle richieste degli interessati.

È stato ad esempio sottoposto all´Autorità un caso di pubblicazione su un quotidiano locale di un articolo in cui il giornalista aveva fatto riferimento all´esistenza di una lettera riservata di un cittadino.

Questi aveva chiesto di conoscere in che modo il giornalista fosse entrato in possesso della lettera medesima senza ottenere una risposta soddisfacente e, per tale ragione, ha presentato ricorso al Garante. Seppure parzialmente, il ricorso è stato accolto sulla base del presupposto che, anche nel caso dei giornali, l´interessato ha sempre il diritto di ottenere, a cura del titolare del trattamento, senza ritardo ed in maniera adeguata, la comunicazione dell´esistenza e dell´origine dei dati che lo riguardano, salvo dichiarare che la fonte dalla notizia è coperta dal segreto professionale in ragione del carattere fiduciario del rapporto con il soggetto che la ha fornita (comunicato n. 2 del 10 gennaio 2000, in Bollettino, n. 11-12, p. 81).

Liceità delle modalità di raccolta dei dati successivamente diffusi con i mezzi di informazione
Uno dei profili più delicati con riferimento alla disciplina della tutela dei dati personali con riguardo ai mezzi di informazione, attiene alle modalità con cui sono raccolte le informazioni successivamente diffuse.

In merito, si deve ricordare il ricorso con cui un avvocato aveva richiesto il blocco della diffusione, tramite una videocassetta allegata ad un giornale, della registrazione di un colloquio fra il ricorrente medesimo ed un suo collega che dichiarava essere avvenuta a sua insaputa mediante una telecamera nascosta.

In tale occasione il Garante, dopo aver disposto il blocco della pubblicazione in via cautelare (Provv. del 20 settembre 2000), ha successivamente accolto il ricorso e confermato il blocco, giudicando contraria alla disciplina sui dati personali la diffusione di tale videocassetta attraverso i mezzi di informazione (Provv. 30 ottobre 2000).

In proposito, l´Autorità ha innanzitutto ricordato che la registrazione a fini di difesa giudiziaria da parte di una persona impegnata in una conversazione non richiede il necessario consenso del proprio interlocutore (v. anche Provv. del 12 luglio 2000). Infatti, anche nelle ipotesi in cui è stato esplicitamente previsto che tale registrazione è illecita in determinati contesti, come nel caso di riunioni tra avvocati, che possono essere registrate solo con il consenso di tutti i presenti (art. 22, par. 3, codice deontologico approvato dal Consiglio nazionale forense il 17 aprile 1997), si deve ritenere che la registrazione non consensuale da parte di uno dei presenti sia consentita quando avviene per una reale esigenza di tutela di un diritto in sede giudiziaria (art. 12, comma 1, lett. h).

Nel caso di specie non è stata dimostrata l´effettiva esigenza di tutela in sede giudiziaria – e, quindi, della liceità della registrazione – a causa dell´insufficienza degli elementi prodotti nel corso del procedimento, rendendosi pertanto necessario rinviare tale aspetto all´esame delle competenti autorità giudiziarie. Tuttavia, si è potuto chiarire che, anche quando la registrazione è effettuata lecitamente per tutelare un diritto in sede giudiziaria, essa può essere utilizzata senza il consenso dell´interessato solo per le medesime finalità, in particolare dandone comunicazione all´autorità competente.

Non è pertanto consentito fare uso dei dati in altro modo, avviandoli ad una diffusione indiscriminata, come è argomentabile dall´art. 20, comma 1, lett. g) della legge n. 675/1996, che non prevede la diffusione senza consenso dei dati acquisiti per finalità di difesa. Pertanto, mentre sarebbe stato possibile consegnare la videocassetta all´autorità giudiziaria, non era lecito allegare la stessa ad una rivista. Di qui, la conferma del provvedimento di blocco e l´accoglimento del relativo ricorso.


46
. ATTIVITÀ GIORNALISTICA E RISPETTO DEI PRINCIPI DELLA LEGGE N. 675/1996
In diverse circostanze, il Garante ha dovuto ribadire la necessità di applicare la normativa – in ampia parte di carattere speciale – dettata con riguardo ai trattamenti di dati personali svolti nell´ambito dell´attività giornalistica. Così, ad esempio, nel dichiarare infondato un ricorso presentato contro alcune importanti testate nazionali da parte di una testimone all´interno di un procedimento penale per gravi reati (Provv. del 3 luglio 2000), l´Autorità ha chiarito che il trattamento doveva essere valutato alla luce di quanto disposto dall´art. 25 della legge n. 675/1996 e dal codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell´esercizio dell´attività giornalistica (Provv. del 29 luglio 1998, in G.U. del 3 agosto 1998).

Pertanto, quando gli articoli o i servizi pubblicati costituiscono una legittima espressione del diritto di cronaca, magari in relazione – come nel caso di specie – a delicate indagini volte ad appurare l´attendibilità di una testimone (l´interessata) e di sue rilevanti dichiarazioni ai fini processuali, e il trattamento è finalizzato ad informare l´opinione pubblica sugli sviluppi di una vicenda che ha richiamato l´attenzione a livello nazionale, nel rispetto dell´essenzialità dell´informazione e della pertinenza dei dati riferiti, lo stesso trattamento deve considerarsi legittimo. In tal caso, quindi, non può invocarsi il mancato conferimento, da parte dell´interessata, del preventivo consenso al trattamento dei dati, essendo questo esplicitamente escluso dalle disposizioni appena richiamate. Ciò, anche quando attraverso gli articoli e le trasmissioni vengano diffusi dati di carattere sensibile, essendo anche in questa ipotesi consentito prescindere dal consenso, naturalmente ove sia rispettato il limite posto al diritto di cronaca dall´essenzialità dell´informazione e si evitino riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti (art. 5 del citato codice deontologico).

Argomentazioni analoghe hanno fondato la decisione originata da un ricorso – poi dichiarato infondato – presentato da alcuni consiglieri di amministrazione, dirigenti e giornalisti di una delle principali aziende radiotelevisive nazionali che lamentavano l´avvenuta pubblicazione su un quotidiano di una serie di articoli in cui venivano evidenziate asserite appartenenze politiche degli stessi, nonché rapporti e relazioni personali (amichevoli od ostili) esistenti all´interno dell´azienda televisiva medesima (Provv. del 31 maggio 2000). Anche in tal caso l´Autorità, applicando la disciplina sopra richiamata, ha ritenuto che gli articoli fossero espressione di una legittima modalità di esercizio del diritto di cronaca – per quanto opinabili potessero essere i toni utilizzati – con riferimento alla personalità, alle esperienze professionali ed agli incarichi ricoperti dalle persone su indicate, le quali occupavano appunto posti di rilievo in un´azienda di primaria rilevanza sociale.

Nel caso di specie, non sussistevano gli estremi per censurare il diritto dei mezzi di informazione di esprimere valutazioni, anche critiche, riferite alle singole persone, atteso che, peraltro, le notizie riportate potevano essere acquisite correttamente dai giornalisti attraverso la consultazione di giornali, interviste, colloqui, dichiarazioni o attingendo alle consuete fonti lecitamente utilizzate nella cronaca giornalistica.Tale pronuncia del Garante, come altre analoghe, non era ovviamente preclusiva per gli interessati della possibilità di adire il giudice ordinario per rivolgere eventuali diverse istanze in sede civile o penale che esulano dall´ambito di competenza del Garante.

In questo contesto, merita infine di essere ricordata la decisione con la quale l´Autorità ha dichiarato non fondato un ricorso presentato dal titolare di una ditta artigiana. Questi aveva infatti lamentato l´avvenuta pubblicazione su un quotidiano locale della notizia secondo la quale alcuni consiglieri comunali avevano segnalato alla Corte dei conti il comportamento di un comune concernente una transazione con il ricorrente, relativamente al versamento di una penale contrattuale legata a "gravi motivi di salute" del ricorrente medesimo (Provv. del 22 gennaio 2001, in Bollettino n. 16, p. 8). In tale circostanza il Garante ha constatato che l´articolo riguardava una contestata vicenda amministrativo-erariale che traeva spunto da atti e documenti accessibili al pubblico. La vicenda era quindi riferita ad un fatto di interesse generale relativo al corretto svolgimento dell´attività amministrativa comunale e, nel caso di specie, non era stata descritta ricorrendo a particolari o dettagli non pertinenti; il generico riferimento ai "motivi di salute" del ricorrente (origine della controversa riduzione della penale, contestata dai consiglieri comunali) non è stato reputato, proprio in ragione della sua genericità, tale da recare lesione alla dignità dell´interessato: in virtù di ciò l´Autorità ha considerato lecita la pubblicazione dell´articolo, dichiarando pertanto infondato il ricorso.

L´applicazione della normativa ai trattamenti svolti in ambito giornalistico, alle fotografie pubblicate dai giornali ed alle riprese televisive
In altre circostanze l´Autorità ha applicato la normativa a trattamenti di dati personali, realizzati nell´ambito della professione giornalistica, sotto forma di fotografie o di immagini diffuse attraverso i mezzi di informazione.

Anche in tali eventualità all´autore delle fotografie (o delle riprese) si applica la previsione dell´art. 25, comma 4, della legge n. 675/1996; quest´ultima disposizione, infatti, estende le norme relative all´esercizio della professione di giornalista ai "trattamenti temporanei finalizzati esclusivamente alla pubblicazione di articoli, saggi o altre manifestazioni del pensiero" e fra queste, possono essere appunto inserite anche le attività dirette a realizzare un servizio fotografico, atteso che anche le fotografie che ritraggono persone sono trattate dalla legge alla stregua di documenti contenenti dati personali (art. 1, comma 2, lett. c), l. n. 675/1996).

Per tale ragione, colui che scatta fotografie, al pari di chi raccoglie notizie, è tenuto a rendere note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta, senza ricorrere ad "artifici o pressioni indebite" (art. 2 del codice deontologico dei giornalisti).

Al riguardo, con particolare riferimento all´informativa semplificata prevista per i trattamenti svolti nell´ambito dell´attività giornalistica, il Garante ha chiarito che questa trova applicazione anche nelle ipotesi in cui i dati sono raccolti presso un soggetto diverso dall´interessato (Provv. del 21 febbraio 2000).

Nel caso di specie, il Garante era stato investito dell´esame di una vicenda che aveva visto la pubblicazione, da parte di un organo di stampa, delle copie di alcune fotografie relative ad un noto personaggio dello spettacolo conservate presso l´abitazione dei genitori di questo. Poiché, dunque, le fotografie ritraevano una persona diversa rispetto a coloro che vivevano nella casa in cui erano conservate, esse non potevano considerarsi raccolte presso l´interessato, con conseguente inoperatività dell´obbligo di informativa ai sensi dell´art. 10, comma 1, della legge n. 675/1996.

La disciplina sulla riservatezza per i personaggi pubblici e le persone note
Analogamente a quanto accade in altri ordinamenti, anche nel nostro la sfera privata delle persone che ricoprono determinate cariche pubbliche o che hanno acquisito una particolare notorietà risulta essere per certi aspetti più ridotta rispetto a quella delle persone la cui vita privata è protetta maggiormente.Tenendo conto di tale principio, il codice deontologico dei giornalisti ha però previsto che la sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se la notizia o di dati non hanno alcun rilievo sul ruolo o sulla loro vita pubblica (art. 6).

Nel corso del 2000 il Garante si è trovato più volte ad applicare tale disposizione, a fronte di reclami presentati da alcuni personaggi pubblici che denunciavano una lesione della propria vita privata. È questo, ad esempio, il caso di un quesito sottoposto all´Autorità da un noto parlamentare che aveva preso parte ad una cerimonia in cui erano presenti altri personaggi pubblici, e che aveva visto il suo nome riprodotto, insieme a quello di altri, in un articolo di giornale che riferiva della cerimonia medesima.In tale occasione, il Garante ha constatato che non vi era stata alcuna violazione delle disposizioni del codice deontologico appena richiamate e che una parte dell´articolo sembrava anzi scaturire da una precisazione fornita direttamente dall´interessato.

Più in generale, l´Autorità ha ricordato che, con riguardo al principio dell´essenzialità dell´informazione, può considerarsi lecita anche un´informazione molto dettagliata, qualora ricorrano determinati presupposti, tra i quali rileva la qualificazione dei protagonisti come personaggi pubblici (Provv. del 21 febbraio 2000 e, per un caso analogo, Provv. del 20 ottobre 2000).

Fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso i loro comportamenti in pubblico
Con riguardo alla diffusione operata dai mezzi di informazione, nell´ipotesi in cui gli stessi interessati abbiano in qualche modo reso pubbliche le notizie che li riguardano, viene precluso in alcuni casi un intervento dell´Autorità diretto a ridurre la diffusione delle informazioni medesime (v., in proposito, il comunicato n. 5 del 17 gennaio 2000, in Bollettino n. 11-12, p. 83).

La legge n. 675/1996, mentre ha previsto in generale che i giornalisti devono rispettare i limiti del diritto di cronaca, con particolare riferimento a quello dell´essenzialità dell´informazione riguardo a fatti di interesse generale, ha lasciato ferma la possibilità di trattare i dati relativi a circostanze e fatti resi noti direttamente dall´interessato o attraverso i suoi comportamenti in pubblico (art. 25, comma 1). Tale ipotesi ha trovato anche riscontro nel codice di deontologia dei giornalisti che ha fatto salvo il diritto di addurre successivamente motivi legittimi di tutela, ma non ha ribadito il limite dell´essenzialità dell´informazione, richiamato invece con particolare pregnanza per quanto attiene ai dati sensibili (art. 5 del codice di deontologia).

A questo riguardo, si può ricordare un ricorso riguardante le dichiarazioni fatte dal padre naturale di un minore durante alcuni programmi televisivi. Chiarito che in tale ipotesi non sarebbe stato in ogni caso applicabile l´art. 3 della legge n. 675/1996 (in tema di trattamento di dati per fini esclusivamente personali), l´Autorità ha constatato che la vicenda alla quale era stata fatta menzione durante la trasmissione era notoria, in quanto già oggetto di cronaca giornalistica, anche a seguito di dichiarazioni dei relativi protagonisti (v. Provv. del 28 febbraio 2000). Di qui l´impossibilità di accogliere la richiesta di opposizione al trattamento formulata dalla ricorrente (in quanto trovava applicazione il già citato art. 5, comma 2, del codice deontologico), che lascia però impregiudicata l´esigenza che giornalisti e conduttori delle trasmissioni televisive operino in modo da evitare o ridurre il rischio di trattare i dati riferiti ai minori in modo da non incidere sul corretto sviluppo della personalità degli stessi (ciò, in particolare, con riferimento all´art. 7 del codice dei giornalisti, sul quale si tornerà fra breve).

Un altro caso che merita di essere menzionato è quello in cui il Garante è stato chiamato a decidere sul ricorso presentato da una madre nei confronti di una televisione a diffusione nazionale, in relazione ad un servizio relativo al rimpatrio in Italia della propria figlia minore a seguito della decisione di una Corte distrettuale statunitense. Anche in tale frangente l´Autorità ha dichiarato infondato il ricorso in quanto, sebbene le fotografie riprodotte nel filmato trasmesso riguardassero un minore, erano state mostrate da uno dei genitori, per di più in un contesto di sentita prospettazione di una complessa vicenda familiare che aveva destato in più occasioni il pubblico interesse (Provv. del 23 novembre 2000).

Pubblicazione a mezzo stampa dei provvedimenti disciplinari assunti dagli ordini professionali
Come il Garante ha avuto modo di chiarire altre volte, non sempre l´applicazione della normativa sulla tutela dei dati personali porta ad una minore conoscibilità delle informazioni. In alcune circostanze, infatti, quando devono essere tutelati altri diritti e valori, la disciplina sulla riservatezza può farsi veicolo di una maggiore trasparenza. E ciò può riguardare anche trattamenti particolarmente delicati per la protezione dei dati, quali la diffusione attraverso i mezzi di informazione.

Al riguardo, si può ricordare il caso in cui l´Autorità è stata chiamata a decidere sul ricorso presentato da un´avvocato per lamentare l´avvenuta pubblicazione – su una rivista dell´ordine di appartenenza – del provvedimento di sospensione dalla professione adottato nei suoi confronti. In tale occasione, il Garante ha avuto modo di ribadire che la legge n. 675/1996 non ha modificato la disciplina legislativa relativa al regime di pubblicità degli albi professionali ed alla conoscibilità degli atti connessi. Per tale ragione, deve ancora ritenersi che tali albi siano destinati per loro natura e funzione ad un regime di piena pubblicità, anche della tutela dei diritti di coloro che a vario titolo hanno rapporti con gli iscritti agli albi (Provv. del 29 marzo 2001).

Molte delle disposizioni che regolano tale forma di pubblicità sono spesso risalenti nel tempo e necessitano pertanto di essere aggiornate anche al fine di individuare in modo più preciso le diverse forme di diffusione consentite, secondo la logica sottesa alla legislazione in materia di riservatezza (art. 27, comma 3, l. n. 675/1996). Ciò, tuttavia, non fa venir meno la qualificazione degli albi professionali come atti pubblici non solamente conoscibili da chiunque, ma anche oggetto di doverosa pubblicità.

Più specificamente, il Garante ha chiarito che la ratio sottesa alla pubblicità degli albi e dei periodici aggiornamenti relativi a nuove iscrizioni e cancellazioni ricorre anche per i provvedimenti che comportano la sospensione o l´interruzione dell´esercizio della professione. Sebbene l´ordinamento preveda al riguardo specifiche forme di pubblicità (es. comunicazione a tutti i consigli dell´ordine degli avvocati ed alle autorità giudiziarie del distretto al quale il professionista appartiene: art. 46, commi 1 e 3, r.d.l. n. 1578/1933), è chiaro che le stesse consentono a chiunque di venire lecitamente a conoscenza di determinati provvedimenti e di darne legittimamente ulteriore notizia.

Il Garante ha potuto così affermare che i provvedimenti disciplinari dei consigli dell´ordine e del Consiglio nazionale forense devono essere considerati quali atti pubblici soggetti ad un regime di conoscibilità.Ciò, pur in assenza di disposizioni più analitiche di legge o di regolamento in cui siano previste particolari modalità di diffusione a favore di determinati soggetti, ulteriori rispetto a quelli specificamente indicati come destinatari dalle norme vigenti.

L´interesse alla riservatezza del professionista destinatario di una misura disciplinare non può ritenersi quindi prevalente rispetto all´interesse generale alla conoscenza del provvedimento medesimo ed è pertanto lecita la divulgazione della notizia del provvedimento stesso attraverso riviste, notiziari o altre pubblicazioni curate anche dagli ordini interessati. Ciò, ovviamente, nel presupposto che la diffusione del provvedimento avvenga in modo corretto ed in termini esatti e completi, secondo quanto disposto dall´art. 9 della legge n. 675/1996.

Pubblicazione a mezzo stampa dei dati relativi ai redditi dichiarati
Nel corso del 2000 (nonché nei primi mesi del 2001), il Garante è stato chiamato ad occuparsi della diffusione, ad opera dell´Amministrazione finanziaria, dei dati relativi al reddito delle persone fisiche anche con riguardo alla loro pubblicazione da parte degli organi di informazione. Tale tema è stato già affrontato dall´Autorità in diverse occasioni, chiarendo che la disciplina vigente prevede espressamente la pubblicazione di determinati elenchi di taluni contribuenti e del relativo reddito. La stessa normativa dispone inoltre la formazione, da parte di ciascun comune, degli elenchi nominativi di tutti i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi o che esercitano imprese commerciali, arti e professioni (v. par. 13 della presente Relazione), elenchi, questi, che devono essere depositati per un anno presso gli uffici delle imposte e i comuni interessati ai fini della consultazione da parte di chiunque (art. 69 d.P.R. n. 600/1973 come successivamente modificato in particolare dall´art. 19 l. n. 413/1991).

L´esistenza di siffatte disposizioni – espressione di una scelta normativa volta ad un´ampia conoscibilità di determinati dati- integra gli estremi richiesti dall´art. 27, comma 3, della legge n. 675/1996 e rende quindi allo stato lecita, salve eventuali modifiche normative, la comunicazione degli elenchi da parte dell´amministrazione finanziaria, anche dal punto di vista della normativa in materia di riservatezza (v. lettera del 13 ottobre 2000, in Bollettino, n. 14-15, p. 9).

Sulla base di tali presupposti, l´Autorità ha pertanto dichiarato infondato un ricorso presentato da un imprenditore che aveva chiesto il blocco dei dati relativi al proprio reddito diffusi da un quotidiano locale sulla base di quanto pubblicato dall´amministrazione finanziaria (Provv. 17 gennaio 2001, in Bollettino n. 16, p. 5). Il Garante ha infatti affermato che, essendo le informazioni rese accessibili dall´amministrazione finanziaria destinate ad un´ampia pubblicità, la successiva pubblicazione di dati estratti lecitamente da elenchi accessibili a chiunque è da ritenersi lecita anche senza il consenso degli interessati e senza che sia necessario per la testata che li riproduce dimostrare la sussistenza del requisito dell´essenzialità dell´informazione rispetto a fatti di interesse pubblico (art. 20, comma 1, lett. d), l. n. 675/1996).

Decisioni di carattere procedurale e limiti alle competenze del Garante
Non di rado il Garante è stato investito di istanze di tutela che eccedevano le proprie specifiche competenze: si pensi alle ipotesi in cui il suo intervento è stato invocato in relazione alla diffusione di informazioni denigratorie o diffamatorie, oppure al fine di ottenere dall´Autorità il risarcimento di un danno subito in ragione della diffusione di dati personali attraverso i mezzi di informazione (si veda, per tutti, il Provv. del 20 ottobre 2000).

In questi casi l´Autorità ha chiarito ancora una volta l´ambito delle proprie competenze e della tutela amministrativa accordata in relazione al trattamento dei dati personali, ricordando comunque la possibilità di far valere i propri diritti di fronte ad altre autorità (nella specie il giudice ordinario).

In altre circostanze, sono giunte all´Autorità richieste di provvedimenti (ad esempio di blocco della diffusione di talune informazioni) che non potevano essere emanati a causa della mancanza di presupposti procedurali a tal fine necessari (si possono vedere, per tutti, i Provv. adottati il 5, il 22 aprile e il 21 settembre 2000; nel terzo di questi casi, l´interessato lamentava di essere stato ripreso durante una trasmissione televisiva a sua insaputa; un altro ricorso è stato dichiarato inammissibile il 30 ottobre 2000, relativamente ad un´intervista dell´ex moglie del ricorrente, mandata in onda durante una nota trasmissione televisiva, nella quale l´intervistata faceva menzione di fatti e circostanze tali da permettere l´identificazione del ricorrente stesso e di suo figlio). Altre volte, invece, sono risultati insufficienti gli elementi di valutazione forniti (Provv. 21 febbraio 2000).

In molte di tali ipotesi il Garante, oltre ad indicare le procedure di volta in volta necessarie per ottenere il provvedimento richiesto, ha cercato, ove le circostanze lo consentivano e la questione sottoposta lo richiedeva, di offrire comunque una tutela agli interessati, ad esempio considerando anche alla stregua di segnalazioni i ricorsi proposti in maniera non conforme all´art. 29 della legge e al d.P.R. n. 501/1998.

In ogni caso, quando ciò era possibile, il Garante ha sempre tenuto a chiarire che il pronunciamento dell´Autorità, magari riferito ad un particolare aspetto della vicenda, non precludeva a coloro che avessero avuto interesse di instaurare, anche dinanzi alla competente autorità giudiziaria, specifiche controversie dirette ad ottenere giudizi di cui il Garante non poteva farsi carico anche a causa dell´insufficienza degli elementi di valutazione sottoposti al suo vaglio (si veda, per tutti, il Provv. del 21 febbraio 2000).

In alcuni casi, infine, l´Autorità ha avviato autonomamente procedimenti distinti da quello aperto su istanza degli interessati, al fine di accertare il rispetto della normativa sulla riservatezza con riguardo a profili in parte diversi da quelli segnalati o che comunque richiedevano di essere autonomamente valutati (si veda, per tutti, la decisione adottata il 27 agosto 2000 su un ricorso presentato dai genitori di una minore, in relazione ad alcuni articoli dedicati ad un procedimento giudiziario, pubblicati da un quotidiano locale).


47
. LA TUTELA DEI MINORI
I minori restano tra i soggetti più esposti e indifesi rispetto al rischio di lesione dei propri diritti fondamentali (ed in particolare del diritto alla riservatezza) da parte dei mezzi di informazione.

Indebite ingerenze nella vita privata dei minori possono comportare danni irreparabili nella relativa vita di relazione e nello sviluppo della personalità, derivanti a volte dalla tendenza a spettacolarizzare vicende che meriterebbero invece maggiori cautele da parte dei media. Per tale ragione, anche nel corso del 2000 il Garante si è visto più volte obbligato a richiamare al rispetto dei precisi limiti alla diffusione dei dati personali sui minori (si veda, in particolare, il Provv. del 22 aprile 2000).

Come è noto, infatti, al fine di tutelarne la personalità, i giornalisti non devono pubblicare i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornire particolari in grado di condurre alla loro identificazione. Questo, nella consapevolezza che la tutela della personalità del minore si estende anche ai fatti che non sono specificamente reati, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti. Inoltre, per espressa previsione normativa, il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca. Quando, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermi restando i limiti di legge, il giornalista decide di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, deve farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell´interesse oggettivo del minore, secondo i principi ed i limiti stabiliti anche dalla cosiddetta "Carta di Treviso" (art. 7 del codice di deontologia sul trattamento dei dati personali nell´esercizio dell´attività giornalistica).

In applicazione di questi principi, l´Autorità ha disposto il blocco dei dati relativi alle molestie subite da una minore ad opera dei suoi rapitori nei confronti di una serie di testate giornalistiche (Provv. 20 giugno 2000). Alcuni organi di stampa a diffusione nazionale avevano reso note, nei titoli e nel corpo degli articoli, talune circostanze relative alle molestie sessuali che apparivano perpetrate dai rapitori di una minore. Il Garante ha disposto il blocco muovendo dalla considerazione che la possibile ed ulteriore divulgazione dei dati relativi alle molestie, a prescindere dalla loro eventuale rilevanza sotto il profilo penale (profilo per il quale è stata investita la competente autorità giudiziaria in relazione all´art. 734-bis c.p.), avrebbe comportato il concreto rischio di un pregiudizio rilevante per l´interessata.

Un provvedimento, dunque, da cui derivava per gli editori titolari del trattamento e per i responsabili del medesimo, un preciso obbligo di sospendere ogni ulteriore operazione di trattamento diversa dalla mera conservazione delle informazioni già raccolte e, in particolare, di astenersi dal diffondere ulteriormente i medesimi dati anche in modo indiretto, attraverso la pubblicazione delle corrispondenti parti dello stesso provvedimento del Garante.

In questo contesto merita di essere infine ricordata anche una decisione assunta dall´Autorità nell´agosto 2000, con riguardo all´avvenuta pubblicazione su taluni organi di informazione di liste di soggetti responsabili di gravi atti di violenza a danno di minori. In merito a tali vicende, il Garante era intervenuto con un comunicato stampa per ricordare che la diffusione indiscriminata di informazioni non trova fondamento nel nostro ordinamento. Tali notizie, infatti, a prescindere dalla loro reale efficacia sul piano della prevenzione e dalla circostanza che i dati possano essere desunti anche da fonti accessibili (quali, ad es. pronunce giudiziarie), sono suscettibili di valutazione critica e fonte di contenzioso potendo anche, a seconda dei casi, oltre che determinare danni agli stessi minori indirettamente identificabili, comportare responsabilità per eventuali inesattezze dei dati, oppure per giudizi indifferenziati su situazioni in realtà difformi o per la lesione del diritto all´oblio di persone interessate rispetto a fatti talvolta assai risalenti nel tempo (comunicato stampa del 23 agosto 2000).

Scheda

Doc-Web
1342176
Data
17/07/01

Tipologie

Relazione annuale